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L'intervista

Ius Scholae, Barbara Pezzini: “La cittadinanza è un fattore di uguaglianza”

La costituzionalista spiega il significato della proposta che ciclicamente torna al centro del dibattito politico

La Camera dei Deputati ha bocciato tutti gli emendamenti presentati dalle opposizioni riguardanti la modifica della legge sulla cittadinanza, incluso quello proposto da Azione che avrebbe introdotto lo Ius Scholae. La proposta prevedeva l’acquisizione della cittadinanza per i minori figli di immigrati dopo aver completato un ciclo scolastico di dieci anni.

Il voto, avvenuto a scrutinio palese, ha visto 169 voti contrari, 126 favorevoli e 3 astenuti. Tra i contrari si è schierata anche Forza Italia, nonostante avesse discusso a lungo di questo tema nei mesi precedenti.
Il riferimento alla scuola come luogo di formazione dei cittadini di oggi e di domani assume sicuramente un significato particolare nella giornata di giovedì 12 settembre, che segna il ritorno in classe degli studenti in Lombardia e, quindi, anche nella provincia di Bergamo.

La campanella riporta nelle aule tutti gli studenti, fra i quali ci sono tanti bambini e ragazzi nati da genitori stranieri ma residenti a Bergamo (e più in generale in Italia), che condividono con gli altri ogni esperienza, dentro e fuori dalle strutture scolastiche.

Ma cosa s’intende esattamente per Ius Scholae? Che differenze ci sono con lo Ius Soli? Ma soprattutto cosa cambierebbe con il riconoscimento della cittadinanza per questi minori? Lo abbiamo chiesto alla costituzionalista Barbara Pezzini, professore ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Bergamo e socia dell’Associazione nazionale dei Costituzionalisti.

Quest’estate si è riacceso il dibattito sullo Ius Scholae. È un tema che ciclicamente, a ondate, torna in auge innescando botta e risposta fra le varie forze politiche ma poi resta in una situazione di limbo. Ma cosa significa l’espressione “Ius Scholae”?

È un tema su cui a ondate, come diceva lei, la politica torna mostrando tutta la difficoltà di intervenire in maniera innovativa in merito alle modalità con cui si ottiene la cittadinanza. Tradizionalmente siamo abituati a identificare due macro-principi, ossia due grandi categorie in base alle quali viene attribuita nel nostro Paese e in termini di modelli generali. Da una parte c’è il cosiddetto “Ius Sanguinis”, cioè la “cittadinanza di sangue”, mentre dall’altra lo “Ius Soli”.

Quali sono le caratteristiche distintive di queste due modalità di attribuzione della cittadinanza?

La prima prevede che sia trasmessa dai genitori, cioè almeno uno di loro deve avere la cittadinanza italiana e la trasmette al nuovo nato. La seconda, invece, in nome del diritto della terra, ossia del luogo dove si nasce: significa che chi nasce sul suolo italiano la acquisisce.

E qual è la situazione al momento in Italia?

Ad oggi in Italia è nettamente prevalente il principio dello Ius Sanguinis. Ciclicamente si accende la discussione per modificarlo introducendo lo Ius Soli guardando ai nuovi nati in Italia, cioè tutti i bambini e le bambine che nascono sul territorio italiano ma non sono cittadini italiani perché i loro genitori hanno una cittadinanza diversa. Va aggiunto che questa modalità può avere molteplici sfumature.

Ci spieghi

Per il cosiddetto “Ius Soli puro” basta la nascita, mentre lo “Ius Soli moderato”, chiamato anche temperato, parziale o condizionato, prevede che al criterio della nascita sul territorio italiano se ne aggiungano altri, come il fatto che almeno uno dei genitori per quanto straniero sia legalmente residente in Italia da un determinato numero di anni. Lo Ius Scholae è un’ulteriore variante nella quale il riconoscimento della cittadinanza si collega all’aver svolto un percorso scolastico. Ma c’è un altro aspetto da considerare.

Quale?

Questa modalità non guarda solo ai minori nati sul suolo italiano. Il requisito della nascita non è necessariamente richiesto: include i bambini che possono essere arrivati in Italia prima di aver compiuto i 12 anni e hanno compiuto un ciclo di studi. Nel corso del tempo questa proposta è stata formulata con varianti differenti, ma tutte si ricollegano alla frequentazione del percorso scolastico almeno di cinque anni. A volte ci si riferisce al quinquennio del ciclo inferiore, al conseguimento del diploma della scuola dell’obbligo oppure ad altre variabili. Si è cominciato a riparlare dell’argomento quest’estate dopo che il tema sembrava uscito dal confronto sulla stretta attualità. Si è riacceso il dibattito, ma per la politica è un argomento difficile, direi incomprensibilmente difficile a mio parere, anche se è ininfluente. Forza Italia aveva annunciato che avrebbe depositato in parlamento una propria proposta di Ius Scholae agganciando l’ottenimento della cittadinanza al percorso scolastico, ma ancora il documento non c’è. Alcuni avevano obiettato che non fa parte dei punti inseriti nel programma elettorale del governo ma, premettendo che la realizzazione di questi è maggiormente attesa, va annotato che i lavori parlamentari hanno spazi indipendenti. A livello numerico, il provvedimento riguarderebbe poco meno di un milione di minori che frequentano le scuole italiane. La platea potenziale spazia fra i 900mila e il milione e questo numero varia a seconda delle diverse tipologie di “Ius Scholae” prese in considerazione.

Per concludere, cosa significherebbe per un bambino o per un ragazzo ottenere il riconoscimento della cittadinanza?

Si tratta di bambini e bambine, ragazzi e ragazze che non sono riconosciuti come cittadini italiani ma vivono insieme ai loro coetanei che invece lo sono. Ottenere la cittadinanza, quindi, è un fattore di uguaglianza a livello simbolico ma anche su un piano concreto. Pensiamo, per esempio, alla partecipazione alle gite scolastiche all’estero, così come ad attività e competizioni sportive. Tutto ciò richiede un passaporto e rappresenta, evidentemente, un elemento di differenziazione che spesso viene segnalato come un disagio dalle scuole.

E a livello simbolico cosa cambierebbe?

Darebbe valore all’impegno scolastico e all’esperienza condivisa, che di fatto è già un’esperienza di cittadinanza pratica e per questo c’è chi parla di cittadinanza sostanziale. Infine, sarebbe un elemento utile che potrebbe smuovere la situazione di empasse che ormai da tempo si trascina sul tema della cittadinanza e del ripensamento della modalità con cui si può acquisire, che è un problema più ampio. Sarebbe un primo passo interessante in questa direzione.

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