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Il perché dell'ergastolo

Alessia Pifferi, le motivazioni della sentenza: “Mossa da un movente futile ed egoistico”

La 37enne aveva abbandonato la figlioletta Diana di 1 anno e mezzo per 5 giorni "per regalarsi un lungo week end con il compagno", un idraulico di Leffe. La piccola era morta di fame e di sete nel luglio 2022

Leffe. “Un movente futile ed egoistico”. Per i giudici della Corte d’Assise di Milano è questa la ragione che ha spinto Alessia Pifferi ad abbandonare la sua bambina di 1 anno e mezzo per 5 lunghi giorni, facendola morire stenti. Lo scrivono nelle motivazioni della condanna all’ergastolo della 38enne, pronunciata lo scorso 13 maggio.

La donna voleva “regalarsi un proprio spazio di autonomia, nella specie un lungo fine settimana con il proprio compagno”, un idraulico di Leffe al quale Alessia aveva detto di aver affidato Diana alla sorella, “rispetto al prioritario diritto/dovere di accudire la figlioletta”. La piccola fu trovata senza vita il 20 luglio 2022 dalla stessa madre, rientrata a casa a Milano. Il corpicino si trovava in un lettino da campeggio con a fianco solo un biberon e una bottiglietta d’acqua vuoti.

L’imputata, secondo i giudici, ha commesso un reato di “elevatissima gravità, non solo giuridica, ma anche umana e sociale”. In aula la donna ha tenuto un atteggiamento caratterizzato da “deresponsabilizzazione”, accampando “circostanze oggettivamente e scientemente false”, accusando il compagno di “essere stato l’artefice ‘morale’ dell’accaduto”. Nel corso del processo la Pifferi “non perdeva occasione per sottolineare come lui non accettasse la presenza di Diana e come la bambina per lui fosse ‘un intralcio’, come proprio a seguito di un litigio con l’uomo, che l’aveva anche intimorita, avesse desistito dal proposito di rientrare a casa lunedì 18 luglio”.

Tutti sintomi, questi, dovuti per la Corte ad una “carente rielaborazione critica”.

Nelle 50 pagine di motivazioni, viene ribadita la capacità di intendere e volere dell’imputata che, per salvaguardare se stessa, non ha esitato a mentire. “Nel caso di specie deve attribuirsi alla Pifferi, con ragionevole certezza, la concreta previsione dell’evento morte della figlia, benché accadimento non intenzionalmente e direttamente voluto” spiegano i giudici che l’hanno condannata per omicidio volontario aggravato dai futili motivi, ma non premeditato. “Per sua stessa ammissione, aveva certamente coscienza e volontà del disvalore della propria condotta di abbandono e della pericolosità della stessa per Diana, tanto da mentire alla madre ed allo stesso compagno su dove si trovasse la bambina”.

Non era la prima volta che Diana veniva lasciata da sola: “Nel primo fine settimana di luglio la Pifferi abbandonava Diana dal primo pomeriggio del 2 luglio al tardo pomeriggio del 4 luglio, per poco più di 48 ore; nel secondo fine settimana di luglio l’imputata abbandonava la piccola per circa 72 ore, dal tardo pomeriggio dell’8 luglio e sino all’11 luglio”. Ma quando l’assenza è durata sei giorni, e mai per i giudici l’imputata ha avuto intenzione di rientrare prima, la piccola Diana era già morta di stenti.

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