Dublino (Irlanda). 6 giugno 2023. A Bergamo erano giorni caldissimi, non solo in termini climatici. Negli uffici dei Percassi all’incrocio tra via Paglia e via Tiraboschi si svolgeva la famosa riunione alla presenza della dirigenza nerazzurra al gran completo, incluso Pagliuca, e Gian Piero Gasperini. C’era un futuro da pianificare, una stagione da preparare. Insomma, decisioni da prendere.
Da quell’ufficio il primo a uscire fu Tony D’Amico, poi lo seguì il mister, a ruota Luca Percassi, Antonio Percassi e infine Stephen Pagliuca. Che, prima di salire sul suo van, a precisa domanda sugli obiettivi per la nuova stagione rispose senza esitare: “win, win”. Vincere.
In quel momento sembrava una frase di circostanza, pur detta dal co-chairman e socio di maggioranza, una sorta di ‘americanata’, una sparata a stelle e strisce. Classico proclamo da inizio stagione. In fondo chi non compete per vincere? Verrebbe da chiedersi. Nessuno. Perché, citando Gasp, vincere è un concetto relativo e personale, perché è impossibile sostenere che squadre come Bologna o Verona quest’anno non abbiano vinto raggiungendo i propri obiettivi e in certi casi, anche superandosi.
Ecco, superarsi. All’Atalanta mancava solo una cosa per coronare questa crescita vertiginosa: “Win”. Sia chiaro, se a Dublino la coppa fosse finita in mani tedesche tutto quanto costruito fino ad oggi avrebbe avuto lo stesso identico valore. La torta era già più che buona, pregiatissima, di fine e alta pasticceria. Mancava giusto la ciliegina.
Ecco, da imprenditore di successo e anche uomo di sport, Pagliuca mentre si accomodava in auto non ha detto una frase scontata. È stato profetico. In quel momento alla prospettiva di vincere ci credevano in pochi. Poi l’estate, il mercato e gli arrivi di Scamacca, De Ketelaere, Kolasinac, la crescita di un gruppo che nel 2024 ha svoltato, ritrovandosi più unito e compatto che mai.
Il percorso non va mai dimenticato, va tenuto ben impresso nella mente: perché il viaggio conta tanto quanto la destinazione ed è ciò che permette di arrivarci, appunto, al traguardo finale. Che poi sia effettivamente ‘finale’ è tutto da vedere, perché la spinta emotiva di questo successo non si esaurirà certo quando le piazze si svuoteranno o quando i fuochi d’artificio smetteranno di esplodere nel cielo di Bergamo.
Prendendo in prestito le parole di un connazionale di Pagliuca, tale Michael Jordan, questa vittoria per l’Atalanta è il segnale che i limiti e le paure non esistono, sono solo illusioni e si vive e si compete per superarle. La sfida è ciò che conta di più: ora l’Atalanta non deve più porsi dei limiti, deve guardare fieramente sempre in avanti, provando stagione dopo stagione a puntare sempre più in alto.
Lo sta già facendo dal 2010, da quando i Percassi hanno preso in mano la società. La crescita è sotto gli occhi di tutti. Nella prossima stagione la Dea giocherà in uno stadio completamente rinnovato da 25mila persone, moderno, che dà ulteriore lustro alla città e ospiterà partite di Champions League. Questo significa volersi superare, senza mai perdere di vista quello che è stato il percorso, le proprie radici. Senza snaturarsi.
Questa Atalanta però non lo ha mai fatto, nemmeno nei momenti sulla carta più difficili: ne è emblema l’intervallo di Liverpool, quando Gasp chiese ai suoi se volessero abbassarsi ricevendo in cambio un secco ‘no’. “Noi siamo questi, è il nostro gioco e ci crediamo” ha sempre evidenziato Djimsiti. È quella filosofia che li ha portati a dominare ogni avversaria in Europa, a tornare in Champions League, a sfiorare la Coppa Italia. A vincere. Aveva ragione Pagliuca.
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