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I grandi della storia

I grandi della storia

Karl Marx, grazie al suo pensiero si devono molti passi avanti nel contratto sociale

Karl Marx era un vulcano di idee, tra il 1850 e il 1867 produsse un enorme numero di saggi che avrebbero segnato il pensiero della sinistra europea. Il vertice di questa produzione fu, naturalmente, la pubblicazione del primo volume di “Das Kapital”, che uscì nel 1867

Cadendo il 5 maggio in questo fine settimana, tanto più simile ad un principio d’autunno che alla primavera, sarebbe parso inevitabile dedicare la mia rubrica settimanale a un personaggio storico che, più che grande, bisognerebbe definire gigantesco, ossia Napoleone.

Dato che, però, chi sia stato il Bonaparte, più o meno, lo sapete tutti e che la rete già trabocca di prevedibilissimi: “Ei fu siccome immobile…”, cercherò di prendervi in contropiede. Il 5 maggio del 1818, infatti, nell’antica e nobile città tedesca di Treviri, venne alla luce un bimbo che avrebbe cambiato il mondo anche più dell’imperatore dei Francesi: Karl Marx. Nato in una famiglia ebrea della media borghesia, il giovane Karl seguì un regolare ordine di studi, avvicinandosi, com’era quasi inevitabile in quegli anni, al pensiero di Hegel. Egli, tuttavia, lo elaborò in maniera, diciamo così, un tantino radicale, tanto che dovette lasciare Parigi, dove nel frattempo si era trasferito per lavoro, a causa delle sue idee piuttosto estreme in materia di economia e di politica: correva l’anno 1848 e la capitale francese era scossa dai moti che, in quell’anno turbolento, stavano facendo tremare le corti europee.

Così, uno come Marx non poteva essere gradito dall’establishment parigino e il Nostro se ne emigrò a Londra, dove seguitò a scrivere articoli dotti su giornali di un certo rilievo: paradossalmente, quello che lo mantenne era The Tribune, un giornale americano, ovvero di quel Paese che più di ogni altro, in seguito, ne avrebbe avversato il pensiero. Marx, però, non si limitava alla pubblicistica: scriveva e pensava, pensava e scriveva. Elaborava la sua celebre teoria del plusvalore, analizzava il problema dell’emancipazione ebraica, pubblicava libri di economia e di storia, di filosofia e di politica: era, insomma, un vulcano di idee, che, tra il 1850 e il 1867 produsse un enorme numero di saggi che avrebbero segnato il pensiero della sinistra europea.

Il vertice di questa produzione fu, naturalmente, la pubblicazione del primo volume di “Das Kapital”, che uscì nel 1867. La sua lettura materialista della storia e la sua interpretazione operaista dell’economia lasciarono un segno indelebile nella Weltanschauung socialista e comunista, tanto da dare origine al termine “marxismo”, che ne divenne pressoché sinonimo: ma Marx fu, in realtà, molto di più e molto di meno.

Molto di più, perché le sue teorie (alcune delle quali si rivelarono clamorosamente sbagliate, peraltro) spaziarono in moltissimi campi della politica e dell’economia, della storia e della filosofia: ricordarne soltanto l’aspetto immediatamente ideologico sarebbe fargli un torto.

Molto di meno perché, per la verità, ai suoi tempi Marx non venne riconosciuto immediatamente come un caposcuola e, della prima internazionale, ossia tra il 1864 ed il 1876, fu un membro influente, ma non la guida intellettuale del movimento. Il peso del suo pensiero venne affermandosi col passare del tempo: un pensiero nitido e, se vogliamo, piuttosto rigido, rispetto alla miriade di sfumature che il socialismo andava assumendo nell’ultimo quarto del XIX secolo e che avrebbero alla fine, portato allo scisma di Erfurt, tra la socialdemocrazia di Kautsky e l’intransigenza massimalista di Lenin.

Però, comunque lo si giri, il pensiero socialista moderno parte di lì: da Karl Heinrich Marx. Fu lui, insieme all’amico Engels, a scrivere le snelle paginette del “Manifesto del partito comunista, del 1848. E fu lui, dunque, a gettare le basi, sia pure inconsapevolmente, fino a un certo punto, di quella catastrofe storica che fu il socialismo reale.

Credo che il punto chiave del rapporto tra il pensiero marxista e la storia risieda proprio in questo passaggio: la teoria marxiana e la sua realizzazione pratica. Se la prima nasceva in un secolo di gravi ingiustizie, come un potente anelito intellettuale verso la giustizia sociale e l’equità salariale, il secondo si trasformò in una spaventosa tragedia, che, probabilmente, rappresentò la più terribile ecatombe del XX secolo, epoca di ecatombi quant’altre mai.

Certo, non fu colpa di Marx, che morì nel 1883, tuttavia, nella sua visione materialistica della storia e nella sua sostanziale indifferenza per questioni che riguardassero la sfera metafisica e religiosa, possiamo intravvedere i segnali della sconcertante disumanità del comunismo, che, nei periodi più bui dell’impero sovietico, raggiunse vertici di cinismo e di assoluta assenza di empatia tali da lasciarci ancora sconcertati. In conclusione, comunque, è innegabile la grandezza del sistema di pensiero marxiano: Marx fu sicuramente un grande della storia e a lui si dovettero molti passi avanti nel contratto sociale. Come scrivevo poco sopra, purtroppo, i suoi figli e i suoi nipoti si rivelarono degeneri, come, spesso accade nel caso di genitori un po’ ingombranti.

marco cimmino

 

* Marco Cimmino è uno storico bergamasco, classe 1960. Specializzato nello studio della guerra moderna, fa parte della Società Italiana di Storia Militare. Ha all’attivo numerosi saggi storici, prevalentemente sulla Grande Guerra e collabora con diverse testate, nazionali e locali. Per Bergamonews ha curato, in precedenza, una storia a puntate della prima guerra mondiale e una storia dell’Unione Europea.

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