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Femminicidi

Bergamo, lista d’attesa nel centro di recupero per uomini violenti: “Ma la consapevolezza è ancora poca”

Al centro 'La Svolta' di Colognola 40 richieste di aiuto all'anno: "Il 10-15% di quelle che si registrano in un centro antiviolenza per donne. Significa che, a fronte di centinaia di donne che chiedono aiuto, il numero di uomini che intraprende un percorso di cambiamento è ancora molto basso"

Bergamo. La morte di Giulia Cecchettin ha scatenato un’onda di rabbia e commozione in tutto il Paese, riportando l’attenzione sui femminicidi al centro del dibattito. A Bergamo, in via Carlo Alberto 23, c’è il centro ‘La Svolta’, che dal 2018 propone percorsi di recupero per uomini autori di violenza. “Per quegli uomini – si legge sul sito dell’associazione – che vogliono intraprendere un percorso di cambiamento ed assumersi la responsabilità del loro maltrattamento fisico, psicologico, economico, sessuale e di stalking verso donne e figli”.

A volte, per entrare, occorre mettersi in fila. “La lista d’attesa è di un mese e mezzo, due al massimo”, spiega Gian Arturo Rota, coordinatore dell’equipe di professionisti che segue queste persone. “A ‘La Svolta’ arrivano in media 40 richieste di aiuto all’anno. Il 10-15% di quelle che normalmente si registrano in un centro antiviolenza per donne del territorio, circa 300-350 all’anno”. Significa che, a fronte di centinaia di donne che chiedono aiuto, il numero di uomini che si rivolge al centro e intraprende un percorso di cambiamento è ancora ridotto. “Il grado di consapevolezza è indubbiamente basso – ammette senza giri di parole Rota -. Detto questo, le richieste non sono poche e i percorsi non si concludono in tempi brevi. Lavoriamo sempre in coppie miste (composte da un uomo e una donna, ndr), svolgiamo un lavoro complesso e delicato e per farlo bene è necessario andare in profondità”.

Tra questi uomini autori di violenza, c’è chi rinuncia o interrompe il percorso. “A volte per paura, altre per vergogna, altre perché non si hanno sufficienti motivazioni per mettersi in discussione, altre ancora perché dopo qualche mese si pensa di avere già capito tutto. Il nostro – ribadisce l’esperto – è un percorso impegnativo, che richiede una riflessione molto profonda su se stessi e i propri comportamenti. Di solito, dura almeno un anno”. Altra specifica importante: “Gli utenti che di propria iniziativa contattano il centro per dire “ho bisogno di aiuto”, o “credo di avere bisogno di aiuto”, sono una sparuta minoranza – aggiunge Rota -. La maggior parte arriva qui inviata in forma preventiva dalla Questura o dai servizi territoriali, per evitare che le loro azioni abbiano conseguenze più gravi. Altri sono inviati dal Tribunale per effetto di condanne, in virtù delle quali il giudice li obbliga a frequentare un percorso di recupero per evitare di rendere esecutiva la condanna”. Altri ancora sono spinti dall’avvocato, magari per mostrare un po’ di buona volontà.

Arrivano persone di ogni età. “Tra i 20 e i 70 anni, la maggior parte italiani. Ma la violenza è trasversale – precisa Rota -. Prescinde dall’estrazione sociale, dal lavoro che uno svolge e dal paese in cui è nato”. Le prese in carico riguardano ogni tipo di maltrattamento legato alla violenza di genere e domestica. “Senza dimenticare quella assistita, un reato vero e proprio che colpisce i figli delle coppie in cui il padre fa violenza alla madre – prosegue Rota -. Un banale esempio: spesso sento dire ‘eh ma nostro figlio era chiuso in camera, non ci ha sentito’. Non è lo stare chiuso in stanza che impedisce al figlio o alla figlia di essere vittime di questo tipo di violenza”. Che, come illustrato dagli esperti, può avere conseguenze sullo sviluppo fisico e cognitivo di un bambino, soprattutto in tenera età.

In sintesi, quando un uomo dovrebbe cercare aiuto? “Quando inizia a rendersi conto che sta limitando o soffocando la vita della propria partner, quando inizia a capire che si vuole sempre imporre, avere il controllo su di lei – elenca Rota -. Quando non accetta il contraddittorio e pretende che la propria opinione sia prioritaria a prescindere. Quando non riconosce alla partner il diritto di avere un pensiero, di fare delle scelte autonome impostando la propria vita anche in base ai propri bisogni e desideri. Mi lasci però aggiungere una cosa: ciclicamente portiamo le nostre competenze nelle scuole medie e superiori, cercando di far riflettere i ragazzi e le ragazze sul tema delle relazioni uomo-donna: lavoriamo su stereotipi e pregiudizi, per arrivare a parlare della violenza di genere. È un lavoro fondamentale – conclude Rota – perché se ai giovani si danno gli strumenti per essere consapevoli, possono imparare a costruire relazioni più sane, autentiche, simmetriche, nel rispetto dell’autonomia personale. L’educazione qui conta moltissimo. Più si insiste, più ci sono possibilità che la violenza inizi a ridursi”. Per far sì che in futuro ci siano sempre meno Giulia da piangere.

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