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L'inchiesta

Seriate, i disperati Sos per le mascherine: “Ne servono 400 al giorno, fate in fretta”. Ma le protezioni finivano altrove

In una mail del 7 marzo l'ira del direttore Francesco Locati con una funzionaria regionale: "Abbiamo 165 ricoverati, se la situazione non cambia non oso pensare ai profili di responsabilità"

Seriate. Che all’epoca mancasse tutto, non è un mistero. Che le poche mascherine e i pochi tamponi disponibili finirono in gran parte a territori meno colpiti, o soltanto sfiorati dal virus, è uno dei tanti passaggi agli atti dell’inchiesta della procura di Bergamo.

Il 27 febbraio 2020, per esempio, una funzionaria di Regione Lombardia inviava agli ospedali e alle Ats lombarde ordinativi e liste di distribuzione che non seguivano – “inspiegabilmente”, secondo chi indaga – l’andamento del contagio: infatti, per alcuni prodotti, la direzione generale Welfare dava indicazioni alle società fornitrici di consegnare i beni in modo uniforme, indipendentemente dal numero di positivi. “Per altri prodotti ancora adottava un criterio diverso, certamente non legato all’espansione dell’epidemia ma, verosimilmente – è la linea della procura – al numero di abitanti”, tanto da penalizzare fortemente la Asst Bergamo Est.

Quel giorno Nembro contava 19 casi, Alzano 8. Per quanto riguarda le mascherine chirurgiche – emerge dalle carte – la Regione aveva previsto la metà di quanto destinato a Monza, Sondrio e Lecco, dove si erano rispettivamente accertati 5, 3 e zero casi. La cosa va avanti per diverso tempo, anche quando era ormai chiaro che la situazione di Bergamo era fuori controllo.

Il 29 febbraio l’Asst Bergamo Est scopre di avere in dotazione un quarto delle tute protettive destinate ad altri territori molto meno colpiti dall’emergenza. Il 2 marzo, alle 9.16, la dottoressa Delia Bonzi segnalava la necessità di “facciali filtranti FFPS2 (400 al giorno); facciali filtranti FFP3 (150); camici impermeabili non sterili in TNT (500); mascherine chirurgiche (3000). Abbiamo autonomia fino a domani” e “ricordo che abbiamo 4 pronto soccorso e in Valseriana siamo interessati da un’alta percentuale di contagi”. La dottoressa chiedeva poi aiuto alla direzione dell’Asst per segnalare che “per noi Aria (l’Azienda Regionale per l’Innovazione e gli Acquisti, ndr) non ha previsto caschi per Cpap. Non so più a chi fare pressione“.

Un’ora dopo, la Direzione generale Welfare comunicava alle Ats il numero di mascherine chirurgiche loro destinato: 5.400 a Bergamo. A Brescia, Milano e Brianza 10.800. Il 4 e 6 marzo marzo la situazione non cambia e a colpire sono soprattutto le mail, disperate, inviate in quei giorni a chi avrebbe dovuto procurare forniture adeguate.

Il 2 marzo il fabbisogno giornaliero richiesto dall’Asst Bergamo Est era di almeno 400 mascherine Ffp2, senza contare la totale mancanza dei caschi Cpap per l’ossigeno. Il 7 marzo, alle 10.53, Il direttore amministrativo Gianluca Vecchi scriveva alla Dg Welfare lamentando “una costante sottostima del fabbisogno” dei dispositivi di protezione. Poco dopo, gli rispondono che le stime erano “state fatte in periodo precedente senza conoscenza della diffusione geografica dell’infezione”.

A quel punto la pazienza finisce. E dalle formalità si passa quasi alle minacce. Il direttore Francesco Locati scrive: “Non sommessamente come ha fatto finora il mio Direttore amministrativo”, segnalo “con vibrata rimostranza la costante sottostima del fabbisogno di Dpi dalla lettura delle liste di distribuzione e del materiale ordinato da Aria spa. Questa Azienda, cui afferiscono il PO di Seriate, di Alzano Lombardo, di Piario e di Lovere si trova al centro del focolaio tra i comuni di Alzano Lombardo e Nembro (alla data odierna n. 165 pazienti coronavirus ricoverati). Senza forse, i quantitativi di cui necessitiamo sono esattamente invertiti rispetto a quelli assegnati ad altre Aziende meno colpite dall’infezione… Se non cambierà tempestivamente la lista di distribuzione, riconoscendo il vero, reale fabbisogno di questa Asst per garantire la continuità di cura, non oso pensare ai profili di responsabilità nei confronti dell’epidemia in corso“.

Dalle carte emerge anche come i dirigenti del Welfare della Regione si adoperarono per cambiare in corsa le regole e ammettere come “indicate” le mascherine chirurgiche. Il rischio, altrimenti, sarebbe stato quello di chiudere gli ospedali.

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