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L'intervento

La nuova Legge Cartabia per punire o per negare il reato?

Brevi riflessioni sulla Legge Cartabia che con la modifica del sistema sanzionatorio, vorrebbe punire diversamente ma finisce per penalizzare le vittime più deboli

Dal corrente anno 2023 è entrata in vigore la “Legge Cartabia” che interviene modificando alcuni articoli del codice e della procedura penale, introducendo il principio di giustizia riparativa.

L’obiettivo principale della riforma è ridurre le tempistiche processuali attraverso la digitalizzazione e lo snellimento della prassi burocratica, intervento reso necessario in seguito alle richieste fatte dall’Unione Europea all’Italia in materia giuridica per accedere ai fondi del PNRR.

Siamo alla presenza di nuove modalità attuative dei processi e conseguentemente ad un nuovo modo di eseguire/espiare le pene; vengono introdotte quattro tipologie di pene detentive brevi che sono: la semilibertà, la detenzione domiciliare, il lavoro di pubblica utilità, e la pena pecuniaria, dando ampio spazio alla Giustizia Riparativa al posto della pena in carcere, modalità che coinvolgerebbe sia l’Ente locale che il Privato sociale.

Questa nuova modalità punitiva parte da presupposti nobili e condivisibili come offrire soluzioni alternative alla pena in carcere, aiutando a non uscire dal circuito lavorativo ed esistenziale, eliminare la lunghezza dei processi, le detenzioni non necessarie, e diminuire le spese processuali e di detenzione carcerarie alte. Al centro della discussione vi è la parte relativa all’estensione dei reati procedibili tramite querela, visto che il legislatore, vincolato dal principio costituzionale della obbligatorietà dell’azione penale e nella necessità di trovare comunque un modo per abbattere il numero dei processi penali, ha soddisfatto tale esigenza estendendo le ipotesi di procedibilità a querela. In buona sostanza alcuni reati procedibili d’ufficio  ora potranno essere indagati soltanto mediante querela discrezionale da parte delle vittime o parti offese, ciò significa che la procedibilità di un reato e la reale punibilità di quel fatto dipende dalla volontà, per giunta insindacabile, della vittima del reato.

A mio parere si tratta di una soluzione molto poco accettabile per la funzione stessa del diritto penale, perché con questa legge, la vittima di un reato viene chiamata a esprimere la sua volontà se far punire o meno la persona arrestata per il danno causatole. Così facendo la vittima diviene contemporaneamente vittima-giudice, trasformando la natura stessa dell’atto delittuoso, da giudiziario/penale a morale. Per far superare questo dilemma di vittima-giudice, molti fautori della giustizia riparativa auspicano incontri di mediazione penale, onde venga elaborato il fatto criminale per giungere ad un accordo vittima e reo; rimane addossato alla vittima la decisione che venga punito o no.

Questa opportunità però, diventa un onere che non dà sollievo ma aumenta il disagio, rendendo il mal capitato, capro espiatorio e doppiamente vittima: vittima del reato e vittima nel decidere se querelare o meno. Alcuni autori parlano di portare le parti, vittima e reo, al perdono, termine che a mio avviso, tocca il mondo sensibile e del vissuto, del come credere o meno in certi valori, o del come la vittima ha subito danni alla salute dopo il reato. Nella vittima vi è certezza del danno ricevuto e della sua volontà o meno di perdonare, non tanto è certo vi sia consapevolezza del danno causato dal reo e pertanto il pentimento non può che essere considerato come presunto ed incerto.

In conclusione, visti i chiari effetti assolutamente controproducenti, appare urgente una immediata modifica della Legge n. 134/2021 sulla riforma del processo penale, che divenga maggiormente garante di tutela del cittadino, in particolare del più debole, dimostrando che lo Stato è dalla sua parte e vuole preservarlo dall’essere oggetto predestinato del crimine. Al contempo induca gli autori di reati a desistere con un maggiore rispetto degli altri, facendoli recedere dal proposito di delinquere, in quanto non vantaggioso.

Il vivere lontano da truffatori, ladri, ingannatori, è un diritto soprattutto per le persone più deboli, che devono essere rassicurate delle ormai pluriquotidiane truffe e mini violenze, e devono riappropriarsi della libertà di vivere sereni e di credere nel prossimo.

*Antonio Nastasio, è un ex dirigente superiore dell’Amministrazione penitenziaria, in quiescenza

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