Secondo gli ultimi dati Istat, circa l’84% delle donne lavoratrici in Europa tra i 15 e i 64 anni sono impiegate nei servizi tra quelli più colpiti dalla crisi Covid-19 con perdite significative di posti di lavoro.
In Italia, a dicembre 2020, dei 444mila lavoratori in meno rispetto a dicembre 2019, 312mila erano donne.
“Per questo 8 marzo meno mimose e più innovazione e progetti a sostegno di tute le donne. Il periodo che stiamo vivendo sta dimenticando il genere femminile”, commenta l’assessore alle politiche sociali Marcella Messina, dall’inizio della pandemia in prima linea per tutelare le fasce più colpite.
A Bergamo sono oltre 800 le donne ad aver chiesto un aiuto economico da parte del Comune di Bergamo, aderendo al bando dedicato ai buoni spesa distribuiti ai cittadini in difficoltà economica a causa dell’emergenza sanitaria.
833 donne beneficiarie, a fronte di 781 uomini. Sono mamme, per lo più italiane, che vivono da sole con a carico dai 3 ai 4 figli, con un lavoro autonomo che spazia da quello dell’assistenza alla persona e della casa al mondo dello spettacolo: settori poco tutelati dall’emergenza economica post Covid.
Tra queste, c’è anche B.F. bergamasca di 51 anni che ha deciso di affidare a noi di Bergamonews la sua storia. Una delle cinque storie di donne, eroine del quotidiano, che vogliamo raccontare in occasione della festa della donna, l’8 marzo per puntare ancora di più il faro su condizioni di disparità sociale e salariale tra uomini e donne, acuite, ancora di più, dalla pandemia.
“Ho due figli, una ragazza di 20 anni e un ragazzo di 17. E li mantengo da sempre da sola, visto che sono separata dal mio compagno da quando mia figlia aveva 5 anni”, racconta B. che preferisce rimanere anonima.
Lei rientra in quella nuova fascia di povertà che, a seguito della pandemia, sta sempre più dilagando e mettendo al centro nuove realtà. Risultano essere, infatti, 350 le nuove famiglie che mai prima si erano rivolte ai servizi sociali del Comune di Bergamo.
“Come molte storie mi sono trovata improvvisamente in cassa integrazione con un significativo decurtamento dello stipendio. Poco dopo, è arrivato il licenziamento. Ora posso mantenere i miei figli solo con gli 800€ della Naspi, che durerà ancora qualche anno ma ogni mese diminuisce del 3%. Se, quindi, non riuscirò a trovare un lavoro in fretta arriverò a prendere solo 500€ al mese, con ancora due figli a carico. Per la prima volta ho aderito ad un bando del Comune per un aiuto economico e negli uffici delle politiche sociali ho trovato persone splendide che mi continuano a dare tanto supporto a livello emotivo e fanno quel che si può, ma 350€ sono solo un palliativo “, racconta B.
I sacrifici e le rinunce sono all’ordine del giorno: “Non può che essere così, dopotutto, i soldi sono quelli che sono e bisogna rinunciare a molto. Per fortuna ho figli abbastanza grandi da capire che bisogna fare un’importante economia famigliare. Ma i soldi mancano sempre, tra l’affitto e le spese fondamentali facciamo fatica”, si confida B.
Lavorava in una serigrafia di Bergamo, ma, con l’arrivo della pandemia, è calato di molto il lavoro considerando il servizio del suo settore “non essenziale”. Con in totale 36 anni di lavoro e una prolungata esperienza nel ramo dei supermercati e non solo, ora si ritrova senza lavoro e tutti i curriculum che invia vengono cestinati.
“Mando dai 25 ai 30 curriculum al giorno, ma la crisi è notevole. Nessuno ti assume, specialmente se sei donna e hai più di 50 anni. Mi dispiace dirlo, ma sto vedendo che, a parità di competenze, e io ne ho tanta di esperienza dopo 30 anni di lavoro, si preferisce assumere un uomo. Nel settore dei supermercati, ad esempio, gli alti piani dirigenziali sono sempre occupati da uomini, mentre le cassiere sono donne, ma sempre giovani. A cinquant’anni non servi più e se metti annunci lavorativi la gente ti risponde di fare la colf o la badante: solo perché sei una donna. Non succederebbe mai ad un uomo. Posso dirlo? Se fossi un uomo avrei già trovato lavoro. Questa è la dura verità”, racconta B.
Lei, questo 8 marzo, lo vive con tanta paura per il futuro, ma la speranza, in fondo al cuore, che per sua figlia si spalanchi un mondo senza disparità tra uomo e donna: “Spero per lei che arrivi presto un momento in cui si possa lavorare nonostante l’età e il genere. Vedendo la forza sua e di quelle delle sue amiche, forse qualcosa veramente cambierà. Ma mi sento sola, abbandonata e sfiduciata: discorsi del tipo ‘preferiscono prendere un uomo’ li faceva mia mamma e prima ancora mia nonna. E ora tocca a me. Tre generazioni di donne che dicono tutte la stessa triste verità. Mi auguro solo che mia figlia non sia mai costretta a dirlo e che l’8 marzo abbia davvero qualcosa da festeggiare”.
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