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Lutto nella bassa

Calcio piange lo storico sacrista Dolfo, la nipote: “L’ho soccorso io, aveva paura”

Rodolfo Ghezzi è deceduto a 69 anni all'ospedale di Treviglio. La nipote 25enne che studia medicina: "L'ambulanza è arrivata da Monza e ci ha messo un'ora. Non uscite"

Con le sue battute e i suoi scherzi, che spesso si tramutavano in lezioni di vita, sono cresciute almeno un paio di generazioni a Calcio. Il paese della Bassa piange lo storico sacrista Rodolfo Ghezzi, deceduto a 69 anni nella notte tra mercoledì e giovedì all’ospedale di Treviglio. Era stato trasportato lì domenica pomeriggio, in seguito alle complicazioni di quella polmonite legata al Covid 19 che sta mietendo troppe vittime anche nella Bassa.

Dolfo, così era conosciuto da tutti, aveva servito per oltre 40 anni la parrocchia del paese e aveva aiutato i vari sacerdoti anche nella gestione dell’oratorio dove sono diventati grandi tanti piccoli calcensi. Ma anche dopo la pensione, da qualche anno, continuava a prodigarsi per gli altri con tanto amore, soprattutto gli anziani ricoverati alla casa di riposo Don Zanoncello.

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Una persona benvoluta in paese, come dimostrano i numerosi messaggi di affetto pubblicati sui social in queste ore, da giovani e meno giovani, tutti legati a quell’uomo elegante, eccentrico e sempre con la battuta pronta. “Ciao Dolfo, con te se ne va un pezzo della storia di Calcio”, recita uno dei tanti post.

Dolfo aveva iniziato a sentirsi male sabato pomeriggio. Domenica, poi, ha contattato la sorella perchè era in preda a un nuovo attacco respiratorio.

La prima a soccorrerlo è stata la nipote Giulia, 25 anni, che studia medicina: “Purtroppo sono ancora impreparata per una situazione simile – racconta dalla sua stanza dove è in isolamento – . Prima ho chiamato la dottoressa di base che ha fatto di tutto per arrivare in tempo. Ho avvertito la Guardia medica, ma purtroppo senza dati sulla temperatura non sono potuti uscire.

Poi quando lo zio non ha più risposto al telefono sono andata a vedere. Ho indossato mascherina e guanti, ho fatto il possibile per mettermi in sicurezza. La dottoressa è arrivata e devo tessere le sue lodi perché ha una professionalità e un coraggio davvero unici”.

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La ragazza ripercorre quei drammatiici momenti che segneranno per sempre la sua vita: “L’ho visto respirare 65 volte al minuto, blu in viso e con le estremità gelide. Ho osservato la paura di chi ha capito che non potevo fare nulla per aiutarlo, che l’ossigeno non sarebbe bastato. La bombola è finita prima dell’arrivo del 112 e solo la grandissima fermezza della dottoressa ha permesso di recuperarne una seconda per pura fortuna.

L’ambulanza è arrivata da Monza. Un’ora di preghiere con la consapevolezza che l’arresto sarebbe arrivato a momenti. Era molto spaventato, questi pazienti restano lucidi anche se sono un po’ intontiti dalla mancanza di ossigeno. Quando sono arrivata io e poi la dottoressa credo si sia calmato un attimo, ma aveva paura perchè aveva capito di stare molto male”.

Infine un ricordo per quello zio che le è sempre stato vicino e un monito a tutti: “È un dolore immenso, improvviso e senza senso. Lascia un vuoto enorme. Ma non lasciamo che sia vano il suo essersi incamminato su altre strade.

Pensate a lui quando state per uscire a prendere il pane per la quarta volta in settimana, pensate a lui quando avete voglia di fare una passeggiata inutile, pensate a lui quando vi fermate a chiacchierare convinti che quelle mascherine usa e getta che usate da settimane vi rendano immuni. Non lo siete. Non lo siamo. Pensatelo, chiudete quella porta e state in casa”.

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