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Il ricordo

“Ciao Mister”, l’eredità di Mondonico nella mia vita fotogallery

Francesco Alleva, giornalista, è stato addetto stampa dell'AlbinoLeffe ai tempi allenata da Emiliano Mondonico. Il "Mondo" lo ha conosciuto da vicino. Ecco quindi un ritratto inedito del grande allenatore scomparso giovedì scorso.

Francesco Alleva, giornalista, è stato addetto stampa dell’AlbinoLeffe ai tempi allenata da Emiliano Mondonico. Il “Mondo” lo ha conosciuto da vicino. Ecco quindi un ritratto inedito del grande allenatore scomparso giovedì scorso.

Ciao Mister.
Ho letto decine di ricordi di Emiliano Mondonico in questi giorni. La maggior parte identici l’uno all’altro. L’Emiliano saggio, mai banale, intelligente, il calcio di un tempo, il calcio sagace, l’uomo buono, cose così. In tutti questi ricordi ho trovato qualcosa del Mister, ma non sono mai riuscito a trovare davvero il Mister.

Perché innanzitutto Emiliano Mondonico te ne combinava una dopo l’altra. Lavorare con lui significava dover essere sempre pronti a qualunque cosa. Perché lui si sarebbe inventato qualunque cosa. Poteva farti arrabbiare o metterti in difficoltà in ogni momento. In ogni momento, mattina, pomeriggio, sera, giorni con doppio allenamento, partita o giorni liberi.

Si inventava le porte chiuse al campo quando vedeva arrivare i giornalisti. Ti faceva mentire spudoratamente su orari di allenamenti, giocatori infortunati, convocazioni. Ti sputtanava ogni volta che facevi un errore. Ti toccava fare da psicologo a tutti i giocatori che non riuscivano a rapportarsi con lui, che non lo capivano, che andavano in tribuna e non capivano perché, cose così.

Il Mister ti voleva arrabbiato. Voleva prendere quella rabbia, quella frustrazione e tirarti fuori tutto quello che avevi, tutto quello che eri. Se ti arrabbiavi, se sapevi metterti alla prova, se avevi qualcosa da dimostrare, Emiliano era l’uomo per te. Si faceva odiare perché poteva permetterselo, perché era più forte delle piccole tensioni tra le persone, perché era il suo ruolo, perché era un leader. E certe volte il leader deve sapersi fare odiare.

alleva e mondonico

E capiva le persone, in profondità, con pochi sguardi, due battute. Sapeva chi aveva davanti. E, quando voleva, ti spalancava le porte del suo cuore, dei suoi amici, della sua casa e della sua famiglia senza nemmeno che tu potessi accorgertene. Ci finivi dentro e basta.

Amava l’esistenza con tutto se stesso. Prendeva tutta la sua forza dalla sua famiglia, luogo di profonde riflessioni, di paure, di dissidi interiori. Prendeva la sua forza dall’ammirazione dei tifosi e delle persone. Per questo lui sapeva così bene starci in mezzo.

A tutti coloro che hanno ascoltato i suoi pensieri in TV e hanno pensato che non capisse, dico solo che sono loro a non aver capito. A non aver capito quale messaggio si nascondesse tra le sue parole e le pieghe della sua anima. Al fatto che dietro ogni frase ci fosse un pensiero lungo, notturno, ragionato, ci fosse la risposta a qualcuno o a qualcosa, ci fosse sempre una profonda connessione con quello che il Mister sapeva essere.

Ed era un compagno di giochi fenomenale. Una persona che voleva divertirsi infinitamente. Accendeva la miccia di una discussione a tavola e poi si metteva a guardare, a ridere.

alleva e mondonico

Prepartita di AlbinoLeffe vs Piacenza, ritorno playout di serie B 2010/11

E tutte quelle cose, scopri un giorno di conoscerle a menadito, di averle raccontate e sentite decine di volte. Scopri di usare sue frasi di continuo. Se entravi nella sua cerchia, entravi in tutto quanto.
Nelle bravate a Rivolta d’Adda. Negli aneddoti delle sue squadre. Nelle fragilità e nella forza dei giocatori che aveva allenato. Nei giudizi su colleghi e dirigenti. Ti prendeva con sé senza che tu potessi rendertene conto.

Io so che mi ha lasciato tantissimo. Mi ha lasciato una parte di sé enorme, che mi è rimasta attaccata senza che nemmeno io lo volessi, senza che io me ne potessi accorgere. E quella parte non se ne andrà via. Con il risultato che il Mister vivrà sempre, dentro di me e dentro ognuno a cui ha fatto questo dono, nei racconti al tavolo dell’osteria o della trattoria, nei racconti dei suoi ex giocatori, dirigenti, collaboratori, di quando ti faceva dannare e di quando ti faceva sentire un fratello, un figlio, un amico.

Perché lo conoscevano in tanti, in tantissimi. Ma in pochi hanno saputo davvero chi fosse.

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