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L'intervista

Palandri: “Come Ulisse, fuggiamo e ritorniamo per ritrovare noi stessi”

Enrico Palandri è finalista del Premio Bergamo e giovedì 5 aprile sarà alla Biblioteca Tiraboschi per un incontro con il pubblico.

“La base e il fondamento di quel che siamo, non è il nostro nome, il nostro lavoro, il successo e neppure il dolore di essere se stessi, ma una danza di quello che accade ogni giorno tra le idee, le epoche, gli affetti, le influenze della storia e degli altri”.

Così Enrico Palandri racchiude il senso del suo ultimo libro intitolato L’inventore di se stesso.

Palandri, nato a Venezia nel 1956, è scrittore, traduttore, e docente all’Università Cà Foscari di Venezia. Noto e premiato per saggi e articoli di letteratura, ha tenuto conferenze anche a livello internazionale. Tra i suoi libri: Boccalone: storia vera piena di bugie, Le pietre e il sale, La via del ritorno, Angela prende il volo, L’altra sera e I fratelli minori.

L’inventore di se stesso è il racconto di un figlio che cerca di ricostruire la storia delle origini del padre. La voce narrante è di Giorgio, il figlio di Gregorio Licudis, fermamente convinto, con il matrimonio e la nascita del primo figlio, di aver tracciato finalmente un confine fra sé e un padre eccessivo ed insicuro. In realtà quella nascita e quel nome diventano il punto di partenza e di non ritorno di un viaggio che il figlio intraprende alla ricerca delle origini della famiglia paterna. Un bagaglio di interrogativi e di risposte sempre troppo evasive, che Giorgio pensava di aver ormai abbandonato, finché alla nascita del primogenito non si ripropone chiuso in una lettera che contiene la genealogia del padre, busta che diventa un amuleto da portare sempre con sé.

Il libro è tra i cinque finalisti della 34ª edizione del Premio Nazionale di Narrativa Bergamo.

Adriana Lorenzi incontrerà Enrico Palandri giovedì 5 aprile alle 18 alla Biblioteca Tiraboschi. L’inventore di se stesso sarà il quinto ed ultimo degli incontri di presentazione dei libri finalisti del Premio.

Come nasce il libro?
“Il libro è nato, dall’attenzione al tema del nome, del confine e della separazione tra le generazioni. Intorno al nome si articolano la storia, quella biografica e quella più ampia, dei grandi cicli epocali, degli stati e degli stati che si dissolvono, come l’impero bizantino o la Repubblica di Venezia, l’Italia, l’Europa e in parte l’Inghilterra. Essendo un romanzo, l’attenzione è alle persone, non tanto alla loro psicologia, come indagine di cause ed effetti, ma letteraria, icastica, con degli eventi, dei momenti, che restino, mi auguro, presenti nell’immaginazione del lettore man mano che la storia si svolge, con i suoi rivolgimenti, le sue sorprese e le rivelazioni, come avviene nella vita, in cui quel che succede fa procedere il nostro comprendere e al tempo stesso lo radicano in quello che siamo. Noi siamo anche prima di un nome, e nel nome diventiamo qualcuno. Ma siamo anche prima di essere qualcuno. La vita, la morte, l’amore, le idee non hanno un nome e lo cercano, perché temono la propria natura astratta”.

Nel libro il tema principale è la necessità di ricostruire una storia sulle origini, quanto abbiamo bisogno di sentirci parte di una storia? Come una storia antica di avi che avevano problemi molto diversi dai nostri può aiutarci a completare il senso della nostra vita di oggi?
“Da quali venti ci difende la storia? Un nome? La nominazione del mondo? In questo gli avi sono come noi, si tengono alle cime di una nave mentre ci soffia in faccia il nulla, l’assenza, il senso e la mancanza di senso, la ricostruzione di senso e quindi la sua arbitrarietà, mentre la vita continua a sfuggirci, attimo dopo attimo, e l’arrivo è la dissoluzione delle nostre consolazioni”.

Nel libro ricorre spesso il tema dell’altalena tra fuga e ritorno riferito a se stessi e alla famiglia …
“A volte le cose hanno troppo senso, sono troppo piene. Siamo troppo noi stessi, o troppo italiani, o troppo legati a persone che ci determinano. Poterci allontanare permette di aprire, vedere le cose da un altro punto di vista. Come Ulisse che ha conosciuto molte città e i modi di pensare di molti umani. Solo partendo e tornando e ripartendo e ritornando, non necessariamente da luoghi ma più in generale lasciando quello che ci ha identificato, per aprire un dialogo con il mondo che abbiamo intorno, e quindi andare verso altri, diventare altri, si può poi tornare e ripensarsi, ritrovarsi. Si esce così dalla trappola di pensare che siamo una cosa e si riesce a divenire quello che si è, che non è una cosa, ma uno scorrere tra le cose. L’ubi consistam, ovvero la base e il fondamento di sé, non sono il nostro nome, il nostro lavoro, né il successo o la gratificazione e neppure il dolore di essere se stessi, ma una danza di quello che accade ogni giorno, tra le idee, le epoche, gli affetti e le influenze della storia e degli altri”.

Poche pagine prima della fine parla del rapporto tra letteratura e vita…
“Letteratura e vita sono la stessa cosa, anche se hanno regole diverse. In un romanzo si può morire, nella vita no. Se poi sia più vera la morte del romanzo o la nostra è la questione che ho cercato di avvicinare nella risposta precedente. In realtà facciamo fatica a pensare senza utilizzare le metafore della letteratura che sono poi le stesse delle religioni e della filosofia. Essere e non essere, come ragiona Amleto, e quindi cercare di esserci o abitare anche lo spazio astratto della nostra assenza. Sopportare il dolore o ribellarci e prendercela con il mondo e gli altri. Tutto quello che in un romanzo facciamo intensamente ma provvisoriamente. Forse dovremmo imparare dal romanzo a capire che anche nella vita attraversiamo capitoli, seguiamo metafore, viviamo pensando”.

Progetti per il futuro? Su cosa sta lavorando ora?
“Ho riscritto i sei romanzi che ho pubblicato tra il 1986 e il 2010 in un’unica narrazione che ha il titolo Le condizioni atmosferiche, dovrebbe uscire il prossimo anno edito da Bompiani. Ho ridotto i personaggi a una decina di protagonisti più qualche personaggio secondario. Riannodare i loro destini mi ha permesso di approfondire le motivazioni del loro agire, la riscrittura è stata non cosmetica ma intensa, approfondita, ha affrontato dei problemi per me non facili e non sempre li ha risolti. Il risultato è questa narrazione unica, molto ampia, che attraversa il formarsi dell’Europa, alcune delle trasformazioni che hanno fatto quello che siamo in queste decadi, dal terrorismo alla caduta del muro, alle vite lontane dalla politica che pure a queste si sono in qualche modo intrecciate”.

foto di Jenny Condie

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