• Abbonati
A chignolo d'isola

Sette anni dopo, la ricostruzione del ritrovamento del corpo di Yara fotogallery video

Il filmato che ricostruisce dove e come, il 26 febbraio 2011, venne ritrovato il cadavere della tredicenne di Brembate Sopra

É il 26 febbraio 2011, sette anni fa. Un sabato pomeriggio come tanti per Ilario Scotti, un 40enne di Brembate appassionato di aeroplanini telecomandati. Intorno alle 14 l’uomo si reca in una zona isolata di Chignolo d’Isola, in località Bedeschi, per far volare uno dei suoi apparecchi. L’aeroplanino cade in mezzo a un campo, e quando Scotti lo raggiunge per recuperarlo nota qualcosa tra le erbacce. “Da come era ridotto, sembrava un sacco dell’immondizia”, dirà poi ancora scosso nella sua deposizione al processo, tre anni dopo. Invece, quello, è il cadavere di Yara Gambirasio.

Si conclusero così, nel modo più tragico, le ricerche della tredicenne scomparsa da Brembate Sopra il 26 novembre del 2010, esattamente tre mesi prima. La ragazzina era uscita intorno alle 17 per andare in palestra a portare uno stereo alle compagne di danza per le prove. Sarebbe dovuta rientrare dopo mezzora, ma non fece mai più ritorno a casa.

Qualche ora più tardi i suoi genitori, Maura e Fulvio Gambirasio, ne denunciarono la scomparsa. Il giorno seguente iniziarono le ricerche della ragazzina, che impegnarono migliaia di uomini in tutto il territorio bergamasco e fuori provincia. Furono utilizzati anche i cani molecolari arrivati dalla Svizzera. Ma nulla, solo falsi allarmi e presunti avvistamenti.

Fino a quel 26 febbraio, giorno in cui svanirono le speranze di ritrovarla ancora in vita. Il corpicino di Yara si trovava in mezzo a quel campo, a un centinaio di metri dal punto di accesso, deteriorato dai colpi ricevuti la sera del delitto e da tre mesi all’aria aperta, tra agenti atmosferici e animali. Tra le mani aveva un ciuffo d’erba strappato da quel prato, il suo ultimo gesto prima di morire.

Le indagini ricostruirono le sue ultime ore di vita. La giovane ginnasta, all’uscita dal centro sportivo, fu convinta a salire o caricata a forza (uno dei punti ancora oscuri di questa vicenda) su un furgone e portata in via Bedeschi. Lì, per sfuggire a un tentativo di violenza, corse in mezzo al campo. Ma il suo assassino la raggiunse e la colpì prima con una pietra alla testa, poi con una serie di tagli che ne provocarono la morte lenta e atroce qualche ora dopo. Secondo la giustizia, il killer è Massimo Giuseppe Bossetti, il carpentiere di Mapello condannato in primo e in secondo grado all’ergastolo e in attesa del giudizio della Cassazione.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI