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Le storie

Rossana, da Twitter al Guardian: “Nella mia Londra chance per tutti, ma con Brexit…”

Bergamaschi nel Regno Unito. Iniziamo da Rossana Piazzini, 29enne designer di Alzano, da sei nella capitale: "L'ho scelta perché dinamica, aperta e multiculturale, ma se dovesse cambiare potrei anche fare i bagagli”

Nel giro di cinque anni è raddoppiata la fuga degli italiani all’estero, e nel 2016 la Gran Bretagna è diventata la prima meta per i più giovani. Un dato senz’altro curioso nell’anno del referendum Brexit. A dirlo è l‘Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (Aire): gli espatri sono passati dai circa 60mila all’anno nel 2011 agli oltre 123mila del 2016 (+104%). Un dato record che rischia di essere persino sottostimato, considerato che si parla solo di espatri ufficiali. Di questi, ben 15mila sono persone comprese tra i 20 e i 40 anni che hanno deciso di trasferirsi oltremanica.

Sorge dunque spontaneo chiedersi: perché proprio l’Inghilterra? Una volta assimilata la Brexit e i suoi effetti, il ‘boom’ si sgonfierà? Solo il tempo saprà dare una risposta, anche se le prime avvisaglie di un calo nel 2017 già non mancano.

Bergamonews ha nel frattempo deciso di andare a ‘scovare’ alcuni dei bergamaschi che sono volati nel Regno Unito (in particolare nella sua città simbolo, Londra) per farsi raccontare come se la passano: le loro storie, idee e preoccupazioni. Stando agli ultimi dati forniti dal Circolo di Londra – Bergamaschi nel mondo, sono oltre 5mila quelli attualmente in Gran Bretagna, 500 dei quali proprio nella città attraversata dal fiume Tamigi.

La prima esperienza che vi raccontiamo è quella di Rossana Piazzini, 29 anni, di Alzano Lombardo. Nella capitale da 6, vive in compagnia del fidanzato, anch’egli bergamasco, di Azzano San Paolo, nei dintorni di Victoria Park.

Laureatasi nel 2010 in Design della Comunicazione al Politecnico di Milano, dopo uno stage di 8 mesi in un’azienda di Nese ha deciso di fare le valigie: “Per ambizione, curiosità e voglia di mettermi in gioco – spiega Rossana -. Sono partita per fare la designer, o almeno per provarci. Mi sono detta: tanto che ho da perdere?”.

Rossana Piazzini

Lo scoglio più duro da superare è stato trovare un lavoro: “Senza quello non si va da nessuna parte… Ci ho impiegato due mesi, poi è arrivato uno stage retribuito al termine del quale sono stata assunta in’agenzia di comunicazione specializzata in applicazioni per telefoni e tablet”.

Da allora, la 29enne bergamasca ha cambiato cinque posti di lavoro prima di diventare freelancer: “Ho sempre avuto l’ambizione di sviluppare una professionalità a 360 gradi, ragion per cui maturare esperienze in ambiti diversi è stato fondamentale. Ho svolto commissioni per aziende come Twitter e Jack Daniel’s, ma le occasioni per mettermi alla prova non sono mai mancate”.

Anno nuovo vita nuova, da gennaio decide che sono maturi i tempi per mettersi in proprio. Una fase della carriera che, con i dovuti scongiuri, pare essere cominciata col piede giusto: “Sono arrivate chiamate che nemmeno io aspettavo – confessa Rossana – come quella del Guardian”, autorevole quotidiano britannico per il quale cura la parte commerciale del sito.

E i pagamenti? “In Italia sono un po’ la piaga del libero professionista. Qui, almeno per quanto mi riguarda, non ho ancora avuto problemi. Anzi, la gente è puntuale e attenta a non sgarrare”.

Quando si parla di giovani all’estero e delle motivazioni che li spingono a partire, inciampare nei luoghi comuni è piuttosto semplice: “Quelli di oggi, per forza di cose, sono più globali e internazionali rispetto al passato”, fa notare Rossana; secondo la quale “viaggiare in Europa è un po’ come viaggiare nel giardino di casa”. Sta di fatto che il meccanismo di crescita professionale a Londra sarebbe “snello e ben oliato. Non so come funzioni nelle altre grandi città italiane, ma qui non si aspetta che una persona abbia lavorato 10 anni in un’azienda prima di offrirgli un ruolo migliore. I tempi sono più brevi. Ho conosciuto creative directors di 35 anni, per dire. E io lavoravo come design director quando ne avevo 28″.

Rossana Piazzini

Tra i bergamaschi che ha incrociato a Londra c’è chi si è trasferito per ‘obbligo’ (in Italia non riusciva a trovare lavoro, o non ne trovava uno che lo soddisfava abbastanza) e chi per scelta: “Di sicuro chi lo fa è pronto a mettersi in gioco – afferma con un pizzico d’orgoglio -. Conta la personalità del singolo, ma anche il fatto di sentirsi parte di una società che ti permette di essere ambizioso. Vedere che molti fanno la ‘scalata’ in pochi anni ti fa pensare che puoi farlo anche tu“.

Ovviamente anche a Londra c’è chi deve fare i conti con situazioni di grave precarietà. E ci sono laureati che faticano a trovare un lavoro adatto alle loro competenze: “Ma personalmente credo siano una minoranza – sostiene la giovane bergamasca -. C’è anche da dire che, qualsiasi sia il lavoro che si svolge qui, che sia designer o barista, che sia lavapiatti o ingegnere, la possibilità di fare carriera c’è. Il mondo del lavoro è molto dinamico e flessibile, le persone valide e intraprendenti vengono riconosciute e spesso spronate a prendersi più responsabilità. Anche lavorando in una catena di caffetterie, non è raro passare da barista a manager in un paio di anni“.

E sul ‘ciclone’ Brexit: “C’è chi parla di un Regno Diviso e non Unito, indebolito economicamente, e chi pensa che ci sarà una fuga di talenti – conclude la 29enne -. L’idea che mi sono fatta è che sarà molto più complicato venire dall’esterno se non si hanno delle qualifiche ben precise, un po’ come succede in Australia. Personalmente vorrei rimanere, ma valuterò in base all’evolversi della situazione. Ho scelto questa città proprio perché dinamica, aperta e multiculturale. Se dovesse cambiare faccia potrei anche decidere di fare i bagagli e ripartire”. Di nuovo.

Rossana Piazzini
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