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Giubileo confindustria

Il Papa agli industriali: “Fate impresa per l’uomo e non per i mercati”

Fondata a Torino il 5 maggio 1910, trasferita a Roma nel 1919, è nata per tutelare gli interessi delle aziende. In 106 anni incontra per la prima volta il Pontefice sabato 27 febbraio 2016.

«Fate impresa per l’uomo e non per i mercati».

Per la prima volta della Confindustria in Vaticano, Papa Bergoglio non si smentisce e va controcorrente. La «bussola» dell’attività imprenditoriale è «il bene comune», cioè la creazione di lavoro e benessere secondo criteri di onestà e giustizia evitando «i compromessi». Fondata a Torino il 5 maggio 1910, trasferita a Roma nel 1919, è nata per tutelare gli interessi delle aziende. In 106 anni incontra per la prima volta il Pontefice sabato 27 febbraio 2016.

Non c’è «etica del fare impresa» che tenga se non è in grado di dare una risposta a un padre di famiglia angosciato che non riesce a dare «un futuro e nemmeno un presente ai propri figli». Suggerisce: «Fare insieme significa “fare rete” e valorizzare i doni di tutti. Al centro di ogni impresa vi sia l’uomo, non quello astratto, ideale, teorico, ma quello concreto, con i suoi sogni, le sue necessità, le sue speranze e le sue fatiche».

Fare impresa significa impegnarsi per gli anziani e per i giovani. «Significa dare a ciascuno il suo, strappando madri e padri di famiglia dall’angoscia; significa saper dirigere ma anche ascoltare; significa fare in modo che il lavoro crei altro lavoro, la responsabilità crei altra responsabilità, la speranza generi altra speranza». L’appello agli industriali è diretto: «Siate coraggiosi voi che avete la nobile vocazione di produrre ricchezza e di migliora­re il mondo per tutti».

Aggiunge: «La via maestra sia sempre la giustizia, che rifiuta raccomandazioni e favoritismi, disonestà e facili compromessi. Rifiutate categoricamente che la dignità della persona venga calpestata in nome delle esigenze produttive, che mascherano egoismi e sete di guadagno. L’attività produttiva sia finalizzata «al bene comune affinché cresca un’economia di tutti e per tutti, che non sia insensibile ai bisognosi».

Così concepita è possibile a condizione che «la libertà eco­nomica non prevalga sui diritti e sulla libertà dell’uomo, il mercato non sia un assoluto. Non c’è libertà senza giustizia e non c’è giustizia senza il rispetto della dignità di ciascuno».

Davvero un peccato che ad ascoltare il Papa argentino di origini subalpine non ci fossero i rappresentanti della Fiat, nata a Torino nel 1899. Come è noto, il Gruppo ha abbandonato la Confindustria nel 2012 – dopo averla fondata nel 1910 – con la motivazione ufficiale che temeva il dietrofront confindustriale sulla flessibilità. In realtà l’addio mascherava solo la voglia di avere mani libere in tutto e per tutto, specialmente per pagare meno tasse. Dopo la fusione con la Chrysler, la Fiat ha abbandonato Torino, ha trasferito la sede legale in Olanda e ha preso residenza fiscale a Londra dove le tasse sui profitti di impresa sono più basse che in Italia. In Germania ci sono aliquote come quelle italiane, ma nessuno immagina che la Mercedes o la BMW vadano via. E la Volkswagen, dopo lo «scandalo delle emissioni», non si è sognata di fare fagotto.
Merita ricordare che alla Fiera Campionaria di Milano il 22 maggio 1983 ad ascoltare Giovanni Paolo II c’erano i due fratelli Gianni e Umberto Agnelli, l’«erede designato» Giovanni Alberto e il potentissimo Cesare Romiti. Wojtyla – che era andato a Milano per concludere il 20° Congresso eucaristico nazionale – poteva giustamente parlare di «incontro con rappresentanti qualificati del mondo imprenditoriale milanese e lombardo, per non dire italiano».
«L’amore di Dio è il cuore pulsante della vita di un cristiano» dice papa Francesco nel 10° anniversario dell’enciclica «Deus caritas est» di Benedetto XVI (25 dicembre 2005). Annota che «la carità sta al centro della vita della Chiesa». Ed esorta i cristiani a essere «testimoni dell’amore di Dio nel mondo. Come vorrei che ognuno nella Chiesa, ogni istituzione, ogni attività riveli che Dio ama l’uomo».
Nella «Deus caritas est» Benedetto XVI parla dei «santi della carità che hanno esercitato in modo esemplare la santità, modelli insigni di carità sociale, veri portatori di luce nella storia perché uomini e donne di fede, speranza e amore». A fianco di Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola, Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo de’ Paoli, Luisa de Marillac e Teresa di Calcutta, inserisce tre sacerdoti piemontesi, «autentici pionieri della carità»: Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giovanni Bosco, Luigi Orione.
Per passare dalle parole ai fatti Francesco ha visitato vicino a Castel Gandolfo venerdì 26 febbraio pomeriggio la comunità di recupero di tossicodipendenti «San Carlo» del Centro italiano di solidarietà (Ceis) fondato da don Mario Picchi. Nato a Pavia nel 1930, la famiglia si trasferì a Tortona , in provincia di Alessandria: studiò in quel Seminario e nel 1957 fu ordinato prete. Per dieci anni è stato viceparroco a Pontecurone, paese dove nel 1872 era nato san Luigi Orione.

Nel 1967 don Picchi fu chiamato a Roma come cappellano del lavoro presso la Pontificia opera di assistenza, e negli anni Settanta si dedicò al recupero dei tossicodipendenti. Papa Francesco era senza scorta ed era accompagnato solo da mons. Rino Fisichella, l’organizzatore del Giubileo. La visita rientra nei gesti di carità dei «venerdì della misericordia» che Francesco compie una volta al mese. Il primo è stato in dicembre l’apertura della Porta Santa all’ostello della Caritas di Roma a Termini. Il secondo ; in gennaio la visita a un centro per anziani.

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