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Bergamo

Dna di Bossetti su Yara: perché è la prova regina che incastra l’assassino

Due sentenze della Cassazione che citano il Dna come prova citate nell’ordinanza del Gip che ha disposto la custodia cautelare in carcere per Massimo Giuseppe Bossetti. La corrispondenza tra il profilo genetico di Bossetti e quello recuperato sul corpo di Yara è data da 21 marcatori Str autosomoci: quasi due volte quelli richiesti dai protocolli internazionali per accertare l’identità tra due profili genetici.

Due sentenze della Cassazione che citano il Dna come prova citate nell’ordinanza del Gip che ha disposto la custodia cautelare in carcere per Massimo Giuseppe Bossetti. La corrispondenza tra il profilo genetico di Bossetti e quello recuperato sul corpo di Yara è data da 21 marcatori Str autosomoci: quasi due volte quelli richiesti dai protocolli internazionali per accertare l’identità tra due profili genetici. “La possibilità di errore che il Dna di Ignoto 1 prelevato sul corpo di Yara non sia quello di Massimo Giuseppe Bossetti è nell’ordine di uno su 2 per dieci alla ventisettesima. Statisticamente, solamente un soggetto maschile su due miliardi di miliardi di miliardi condivide nella popolazione questi genotipi o caratteristiche genetiche”. Parola di Carlo Previderé, biologo dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Pavia, che ha esaminato i due profili genetici messi a confronto.

Basterà la scienza per supportare l’accusa della Procura di Bergamo che vede indagato per l’omicidio di Yara Gambirasio, il muratore 43 di Mapello Massimo Giuseppe Bossetti?

La scienza farà la sua parte. Schiacciante.

Ma a supportare la tesi del Dna, in questo caso particolare, c’è di più. La corrispondenza tra il profilo genetico di Bossetti e quello recuperato sul corpo di Yara è data da 21 marcatori Str autosomoci: quasi due volte quelli richiesti dai protocolli internazionali per accertare l’identità tra due profili genetici. Ma il Dna può essere considerato la prova regina come sostiene il pm Letizia Ruggeri che ha condotto le indagini del caso Yara? In fondo il delitto di via Poma a Roma dimostra come questi elementi in sede giudiziaria possano essere deboli. Il dubbio è legittimo. Ma in questo caso no. Lo sa bene il Giudice per le indagini preliminari Ezia Maccora che nell’ordinanza per la custodia cautelare in carcere cita due casi che hanno fatto giurisprudenza sulla validità nel processo degli accertamenti sul dna. Per il Gip, infatti, "gli esiti dell'indagine genetica" hanno "natura di prova" e non "di mero elemento indiziario".

E dopo aver rimarcato che "sussistono gravi indizi per ritenere" che il muratore di Mapello "è il soggetto che ha lasciato la traccia di sangue" sugli indumenti della 13enne di Brembate rimarca che sulla base dell'orientamento "prevalente in giurisprudenza" quelle analisi sul dna hanno valore di "prova" richiamando un principio stabilito da quelle due sentenze della Suprema corte: gli esiti di una "indagine genetica", dato "l'elevatissimo numero delle ricorrenze statistiche confermative, tale da rendere infinitesimale la possibilità di un errore, presentano natura di prova e non di mero elemento indiziario". C’è un ultimo dettaglio su questo fronte che non va trascurato.

Sulle macchie di sangue rinvenute sugli slip e sui leggins della vittima, sono stati stati separati il profilo genetico di Yara e quello dell’uomo che l’ha uccisa. L’esame è stato ripetuto più volte in quattro diversi laboratori: il Ris di Parma, l’Istituto di Medicina legale dell’Università Statale di Milano, il laboratorio di Biotecnologia del San Raffaele di Milano e l’Istituto di medicina legale di Pavia. Insomma: una prova difficile da contestare.

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