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Bergamo capitale

“Incapaci di vedere oltre il nostro naso Me dispias per Berghem”

Come potevamo pensare di vincere? E’ la domanda che si pone il nostro Marco Cimmino in merito all’esclusione di Bergamo dalla short list delle candidate a diventare capitale europea della cultura: troppe negligenze, troppa sufficienza, troppo poche idee e un’oggettiva incapacità di vedere al di là del proprio naso.

di Marco Cimmino

Il primo pensiero che mi è venuto, quando ho letto il lancio d’agenzia che annunciava l’esclusione di Bergamo perfino dalla “short list” delle candidate a diventare capitale europea della cultura, è stato – lo confesso – un pensiero diabolico: è l’Amageddon, il giorno del giudizio, per questa accolita di dilettanti allo sbaraglio!

Subito dopo, però, mi sono pentito: mi sono sentito meschino, e il ghigno sadico mi si è spento sulla faccia. Mi è venuto in mente Antonio Locatelli, una delle figure che, fin da bambino, ho più ammirato: l’incarnazione del bergamasco migliore. L’ho visto, sul suo trabiccolo, volare sopra il duomo di Santo Stefano, a Vienna, ed esclamare giulivo: so contèt per Berghem!

Ecco, io dico: me despias per Berghem, esattamente con lo stesso amore per la mia città. Ma non poteva andare diversamente, stavolta: troppe negligenze, troppa sufficienza, troppo poche idee per farcela.

I tedeschi hanno due termini per indicare la cultura: il primo è “Zivilisation” e il secondo “Kultur”. Il primo indica il progresso e il secondo l’identità. Bastava tener conto di questi due aspetti complementari per stilare un progetto meno perdente. Perchè l’Europa non ci chiedeva cosa avessimo in cassaforte: voleva sapere cosa saremmo stati disposti a fare per coniugare, in un grande piano progettuale, la nostra Kultur e la nostra Zivilisation. Questa è stata la carta vincente delle città nominate capitali d’Europa in tempi recenti, come Turku o Liverpool: un grande progetto che ne sottolineasse, incrementandola radicalmente, l’identità, che le dotasse di un’identità urbana migliore e proiettata verso il futuro.

Per questo, i commentatori che si chiedono cosa avessero più di noi altre città che ce l’hanno fatta, mostrano di non aver compreso il senso di questa gara: non è quello che hanno, ma quello che avranno, proprio grazie al loro ruolo di capitale della cultura, che contava. Bergamo possiede meraviglie a bizzeffe: non possiede strumenti per goderne appieno, tutti, comodamente, intelligentemente. Prendiamo ancora Locatelli: pioniere noto nel mondo per le sue imprese aviatorie, tre volte medaglia d’oro al valor militare: cosa abbiamo fatto per valorizzare questa risorsa culturale formidabile? Abbiamo restaurato il suo “Balilla”, con scelte filologiche che fanno rabbrividire, e dove lo abbiamo messo? Al “Museo del falegname” ad Almenno San Bartolomeo! Potevamo organizzare mostre permanenti, convegni internazionali, gemellaggi, documentari: chi li ha visti?

Se volete, possiamo passare dal piccolo al grandissimo: volete sapere un progetto di identità urbana che si poteva facilmente stilare e che ci avrebbe dato qualche chance in più? “Bergamo città universitaria”: bello, utile, redditizio e abbastanza semplice da realizzare. Creare un gigantesco sistema di campus e di strutture, in modo da renderci la Harvard d’Italia: unire i parchi urbani, tramite la Montelungo e dedicarli ai giovani, collocare la sede del campus agli ex Riuniti, potenziare i trasporti orizzontali e verticali e quelli verso Orio. Attirare giovani da tutto il mondo, con il fatto che Bergamo è bellissima, a misura d’uomo, accogliente, colta, dotata di servizi all’avanguardia per degli studenti. Invece, sulla Montelungo si discute a vuoto da chissà quanto, i Riuniti fanno gola a un sacco di gente e si parla di darli alla Guardia di Finanza, che sarebbe una catastrofe sul piano dell’identità urbana, i trasporti sono al palo e ad Orio sembra che ci andremo in funivia.

Nessun progetto globale: niente cultura, soltanto proposte a casaccio, scollegate e scoordinate. Così, la domanda non è: perchè non abbiamo vinto? E’: come potevamo pensare di vincere? Eppure, sono anni che vado denunciando, come tanti altri, l’assoluta mancanza di serietà, di semplice serietà, con cui si è affrontata la questione della cultura nella nostra città.

E difendo l’assessore Sartirani: lei ha fatto esattamente quello per cui è stata messa al suo posto. Ha cercato di organizzare eventi, che è quello che sa fare: non è una project manager della cultura, nè un’erudita e nemmeno un’esperta di questioni culturali. Si dà il caso, però, che l’organizzazione di eventi vada benissimo, se si vuol fare bella figura in televisione, per cinque minuti all’anno: la cultura va gestita con progetti a lunga gittata, che coinvolgano la cittadinanza, con scelte che abbiano ricadute utili a tutti e che producano risultati nei decenni. La cultura è fatta di biblioteche rionali e non di totem, di teatri accessibili a tutti e non di rievocazioni in costume, di valorizzazione delle risorse e non di operazioni estemporanee. Soprattutto, la cultura va incrementata, aiutata e nutrita aprendosi alla gente: ascoltando la gente.

Invece, a Bergamo c’è sempre quest’idea settecentesca del: riuniamoci nel mio studio per decidere. Questo concetto un po’ massonico della stanza dei bottoni: un’atmosfera di segretezza organizzativa che sa di principi illuminati, tutto per il popolo niente con il popolo. Ma il popolo siamo noi: le biblioteche, i teatri, gli aerei di Locatelli sono nostri: non di un ristretto gruppo di happy few. Così, non si può lavorare per la cultura, perchè la cultura è una cosa viva, plastica, meravigliosamente democratica: è cultura anche la polenta, ma bisogna vedere per cosa la si adopera, questa polenta. Se si fa un museo della polenta è un conto: se si organizza una bella mangiata in piazza, il risultato cambia di parecchio.

Credo che sia questo limite cognitivo che ci ha precluso l’accesso alla short list: che si sia trattato di un’oggettiva incapacità di vedere al di là del proprio naso.

L’Europa è un’idea, non ancora una Nazione: se non condividiamo neppure quell’idea, il nostro essere europei rischia di essere velleitario. Lo ripeto, me despias per Berghem. Non per gli organizzatori nè per i partner e nemmeno per la figura un po’ barbina che abbiamo fatto: mi spiace per Bergamo, che vuol dire per i bergamaschi, privati di una grande occasione di crescere e di veder migliorare la qualità della propria vita.

Abbiamo perso un po’ tutti, anche se a gareggiare erano in pochi. La colpa è di quei pochi, ma le conseguenze le paghiamo tutti quanti. Ora, si darà la colpa alla giuria, alla camorra, al destino cinico e baro: a tutto e a tutti, pur di non fare mea culpa.

Invece, la colpa sta proprio lì, nella mancanza di cultura europea: quella che ti fa capire che, per i cittadini di una città, ogni città è una capitale. E che sono loro la città: non piazze e monumenti, per quanto belli possano essere.

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