Inutile girarci attorno, le speranze sono riposte lì: nelle tracce di Dna già trovate sugli oggetti di Yara e altre tracce eventualmente ancora da individuare, per un confronto con codici genetici che la polizia scientifica già conosce o potrebbe acquisire nei prossimi giorni. L’indiscrezione della settimana scorsa è stata corretta: due Dna, uno maschile e uno femminile, non sono stati trovati entrambi sui guanti che la ragazza aveva nella tasca del giubbotto quando è stata trovata morta.
Un codice genetico, quello maschile, è stato isolato dalla batteria del telefonino, che Yara e i familiari non toccavano molto spesso, essendo un oggetto che anche per mesi filati resta nel cellulare. Un altro Dna, femminile, era sui guanti. Le indiscrezioni delle ultime ore suggeriscono che il primo codice genetico, quello maschile sulla batteria, non solo non apparterebbe ai familiari di Yara, ma corrisponderebbe addirittura ad una persona del tutto sconosciuta alle banche dati della polizia e dei carabinieri.
Serve quindi un lavoro di mappatura il più esteso possibile, per recuperare Dna da confrontare con quella traccia sulla batteria. Ma su questo fronte il riserbo degli inquirenti è rigido e stretto. Non è ancora chiaro quante informazioni abbiano a disposizione: si sa per certo di 40 persone il cui codice genetico è già stato isolato e codificato e anche di 10 pregiudicati. Ma in quei primi 50 Dna non c’è quello giusto.
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