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Volkswagen e crisi dell’auto, Uliano: “Urgente un accordo di sviluppo a livello europeo di tutto il settore”

Ferdinando Uliano, segretario generale Fim Cisl: "È necessario investire sulle nuove competenze che vengono richieste dalla transizione anche attraverso la produzione di nuova componentistica richiesta per l’elettrico che oggi non viene prodotta nel nostro Paese e che importiamo"

Bergamo. Si preannuncia un autunno caldo per i lavoratori della Volkswagen dopo che il colosso automobilistico tedesco ha dichiarato a inizio settembre che potrebbe chiudere alcuni siti di produzione in Germania. Una misura che ha colto tutti di sorpresa ed è stata aspramente criticata dalle associazioni dei lavoratori, con il principale sindacato industriale tedesco IG Metall che ha parlato di un piano che “scuote le fondamenta” della casa automobilistica.

Ferdinando Uliano, segretario generale Fim Cisl, che ripercussioni teme per le aziende nazionali, ed in particolare quelle bergamasche, che producono componenti per le case automobilistiche tedesche?

Sicuramente le aziende della componentistica nazionale, subiranno effetti negativi. È noto che gran parte della nostra componentistica auto italiana, soprattutto delle regioni del centro nord gravita sulle case automobilistiche tedesche. Per questo diventa sempre più necessario e urgente l’accordo di sviluppo di tutto il settore dell’auto che stiamo sollecitando da mesi al governo italiano.

Si aspettava questo annuncio?

La situazione di difficoltà è diffusa in tutte le case automobilistiche era nota, anche delle case automobilistiche tedesche che questo poi si traducesse nella chiusura degli stabilimenti e minacce di licenziamenti no. Una posizione che contrasteremo. Noi abbiamo siamo sempre stati contrari alla chiusura degli stabilimenti in Italia e sosterremo anche il sindacato tedesco in questa sua lotta.

Dobbiamo aspettarci che anche altre case automobilistiche, penso a Stellantis, seguano questa strada?

Siamo pronti a tutto. Abbiamo più volte ribadito la necessità e avuto un riscontro da parte di Stellantis recentemente ai primi di agosto, che non ci sono valutazioni da parte di Stellantis di chiusure di stabilimenti. C’è sicuramente una situazione di sofferenza, ormai sotto gli occhi di tutti, che ci preoccupa perché i volumi si stanno riducendo in maniera consistente. Nel nostro report sulle produzioni del Gruppo come FIM abbiamo registrato 751 mila di veicoli prodotti nel 2023 mentre a fine anno arriveremo se va bene a 500 mila veicoli. Una situazione che ovviamente ci preoccupa, anche perché, nel 2025 si esaurirà la cassa integrazione che rappresenta un istituto importante di conservazione del lavoro e quindi di contrasto ai licenziamenti necessario a tutelare i lavoratori nei processi di transizione

Questo arresto della produzione, dovuto al crollo delle vendite, ci interroga sulla transizione ecologica? Le persone rinunciano all’auto anche se green?

Noi abbiamo sostenuto da tempo al governo le difficoltà della transizione del settore che deve essere governata dentro un percorso di sostenibilità sociale che passa attraverso tutta una serie di interventi che gli Stati devono indurre al determinassi di alcuni fattori. Il processo di transizione verso l’elettrico, deve essere accompagnata con politiche di sostegno, non solo per l’acquisto delle vetture green ma anche di investimenti per favorire le produzioni verso la componentistica verde oltre che, d’interventi sugli ammortizzatori e formazione professionale. Processi che se non vengono assunti dai governi, come tra l’altro sta succedendo, rischiano di scaricare in maniera pesate sui lavoratori e sulla struttura industriale del settore, anche del nostro Paese tutte le negatività della transizione del settore.

Ferdinando Uliano
Ferdinando Uliano, segretario generale Fim Cisl

Ha inciso ed incide la concorrenza cinese?

Indubbiamente la Cina sta facendo una politica aggressiva sulle auto elettriche. È noto, per esempio, che la casa automobilistica BYD ha superato in termini di volumi le produzioni che Volkwagen aveva all’interno della Cina e sta cercando di aggredire il mercato europeo. È chiaro che questa politica aggressiva dentro un quadro istituzionale, governativo ed economico europeo che si attarda rispetto ad alcune scelte, mette a rischio la sostenibilità sociale che noi rivendichiamo.

L’auto non è più uno status symbol?

L’auto rappresenta molte cose: un tema di libertà nella mobilità che deve essere garantita anche per le classi meno abbienti; poi c’è un tema di sostenibilità per chi ha un reddito medio basso. Quindi non è solo uno status symbol. Noi dobbiamo impedire che diventi un bene di lusso, ma costruire le condizioni affinché tutti, al di là del reddito, possano avere la possibilità di un mezzo di mobilità il meno impattante dal punto di vista ecologico ma anche, sostenibile sul piano sociale con la salvaguardia industriale del settore e dei posti di lavoro ad essa connessi.

Come si può pensare alla riconversione di questi siti industriali e soprattutto alla ricollocazione di migliaia di lavoratori?

Attraverso una politica industriale del settore e attraverso un accordo, che noi stiamo rivendicando, come ho già detto – con il governo italiano, che ad oggi non è stato ancora completato. È più di un anno che stiamo cercando di definire quest’intesa che deve prevendere interventi di politica industriale e di riconversione industriale verso l’elettrico, oltre che interventi di sostenibilità sociale attraverso: ammortizzatori sociali e formazione; perché è necessario investire sulle nuove competenze che vengono richieste dalla transizione anche attraverso la produzione di nuova componentistica richiesta per l’elettrico che oggi non viene prodotta nel nostro Paese e che oggi importiamo. Solo attraverso questo processo si può gestire la transizione – con difficoltà certo – ma con elementi di tenuta complessiva economica, industriale e sociale.

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