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Omicidio di terno d'isola

Identificati i due 15enni minacciati dal killer: “Zitti per paura, i nostri genitori temevano ritorsioni”

Sono due minorenni di Chignolo. Uno ha già parlato con i carabinieri: "Sangare ha fatto commenti sulla mia maglietta e poi ha mostrato il coltello", lo stesso che avrebbe usato pochi minuti dopo per uccidere Sharon

Chignolo d’Isola. È da poco passata la mezzanotte del 29 luglio. Moussa Sangare, reo confesso dell’omicidio di Sharon Verzeni, si avvicina a due ragazzini di 15 anni, attirato dalla maglietta del Paris Saint Germain indossata da uno di loro. Scende dalla bicicletta e chiede: “che bella, è originale? Chissà quanto deve costare”. Terrorizzato dall’idea di essere rapinato, il ragazzino con addosso la maglietta della squadra di calcio racconta una bugia, sperando di allontanare in fretta lo sconosciuto: “Grazie, ma non è autenica – risponde -. È taroccata”.

Seguono dei lunghi secondi di silenzio. Sangare rimonta in sella e agita davanti a loro il coltello, prima di rimettersi a pedalare da Chignolo in direzione Terno d’Isola. Pochi minuti e quel ragazzotto in bici accoltellerà a morte la 33enne Sharon, che passeggiava da sola in via Castegnate con le cuffiette nelle orecchie e gli occhi rivolti verso il cielo. Un bersaglio più vulnerabile rispetto ai due quindicenni, scampati per un soffio alla follia omicida di quella notte.

Il fugace incontro prima del delitto è stato svelato ai carabinieri dallo stesso Sangare. Nelle ore successive il fermo, gli inquirenti hanno rivolto ai minori un appello a mezzo stampa per presentarsi caserma e verificare così il racconto dell’indagato. Ebbene, l’appello è rimasto inascoltato. Entrambi sono stati identificati, ma soltanto grazie alle immagini delle telecamere. Uno dei due è stato ascoltato dalla forze dell’ordine ieri pomeriggio (lunedì 2 settembre), confermando in toto la versione già emersa: gli apprezzamenti alla maglietta e il fatto che poi, andando via, Sangare ha mostrato loro il coltello, lo stesso con cui poco dopo avrebbe assassinato Sharon.

C’è però un altro elemento che colpisce: il ragazzino avrebbe detto ai carabinieri che sì, lui e il suo amico avevano intuito che Sangare poteva essere il killer della ragazza finita su tutti i giornali. Ma che non avevano detto nulla per paura, perché i loro genitori “temevano ritorsioni”. L’altro testimone, si apprende da fonti investigative, sarà convocato dai militari nei prossimi giorni.

 

 

“Sangare già denunciato? Delitto non prevedibile”

Secondo la Procura di Bergamo il fatto che Moussa Sangare potesse uccidere non era prevedibile, nonostante alcune denunce per maltrattamenti presentate dalla mamma e dalla sorella dell’assassino. “Sono state rispettate tutte le regole previste in materia di Codice Rosso – spiega il procuratore facente funzione di Bergamo Maria Cristina Rota -. Le percosse avevano causato alla sorella un solo giorno di prognosi e non esistevano gli estremi per una misura cautelare, visto che il soggetto si era allontanato spontaneamente dall’abitazione”.

L’ultima denuncia per maltrattamenti da parte della sorella risale al 9 maggio. Il giorno seguente, la 24enne aveva raccontato ai carabinieri di essere stata colpita con un pugno dal fratello (rimediando un giorno di prognosi, appunto) e di essere stata minacciata con un coltello l’11 aprile precedente (senza però mai sporgere formalmente denuncia).

All’epoca non venne chiesta nessuna misura cautelare, perché non sussisteva il pericolo di reiterazione del reato (Sangare si era allontanato da casa) e perché il 30enne era incensurato. Nel fascicolo d’indagine, inoltre, non c’erano evidenze che facessero supporre problematiche di tipo psichiatrico. “Nonostante questo – osserva il pm Rota – è evidente che sul territorio manchino strutture in grado di gestire questo genere di disagio”. E anche i servizi sociali fanno quel che possono, “con una sola persona chiamata a gestire tre comuni”.

Da quanto si apprende, solo in un secondo tempo Sangare ha fatto rientro nella palazzina dove vivono tuttora la mamma e la sorella a Suisio, senza però essere “segnalato” dai familiari. In sintesi, ciò che ha fatto tra le mura domestiche non è stato ritenuto così grave da giustificare determinati provvedimenti cautelari. E nulla – secondo la Procura – poteva lasciar presagire un’evoluzione simile delle sue problematiche e, soprattutto, delle sue condotte violente.

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