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L'analisi

Delitti in famiglia, lo psicologo Marzocchi: “Spinti dall’analfabetismo emotivo”

L’esperto: “Il problema consiste nel passare dalla sensazione all’azione, senza riflettere sulle conseguenze ed esprimere il disagio che si prova”

La strage di Paderno Dugnano ha scosso tutti. Le notizie, gli aggiornamenti e i dettagli sul diciassettenne che nella notte fra il 31 agosto e il 1° settembre ha ucciso a coltellate il padre, la madre e il fratellino, inevitabilmente, hanno colpito l’opinione pubblica.

A porre profondi spunti di riflessione sono le parole con cui ha motivato il compimento di questa tragedia. Come hanno riferito quotidiani e tv, parlando con gli inquirenti e gli investigatori, il giovane ha affermato: “Mi sentivo un corpo estraneo nella mia famiglia. Oppresso. Ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato da questo disagio. Me ne sono accorto un minuto dopo: ho capito che non era uccidendoli che mi sarei liberato”. Un “malessere” – questo è il termine che ha messo a verbale – non solo in relazione alla famiglia, ma anche più in generale alla società: ha pianto a lungo e chi l’ha visto nelle ore dell’interrogatorio ha trovato un ragazzo “fragilissimo”.

Negli ultimi mesi le pagine di cronaca sono state segnate da diversi ed efferati drammi familiari. Alcuni sono avvenuti anche in Bergamasca, come nel caso del figlio che ha ucciso il padre e ferito la madre a Nembro nel dicembre 2023 o la moglie che ha colpito mortalmente il marito a Martinengo nel gennaio 2024. Ma anche in passato si sono verificati omicidi all’interno delle mura domestiche.

Il professor Gian Marco Marzocchi, psicologo co-fondatore del Centro per l’Età Evolutiva e professore associato al Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano Bicocca, commenta: “Nei casi di Nembro e Martinengo le persone che hanno perpetrato i delitti soffrivano di problemi psichici, quindi il quadro è differente. Anche a Treviglio, nell’agosto 2021, una 15enne uccise la madre dopo una lite, ma a incidere furono disagio sociale, emarginazione, frustrazione e una rabbia fuori controllo. Ci sono differenze anche rispetto al delitto di Montecchia di Crosara (l’omicidio dei coniugi Maso) e all’omicidio di Peter Neumair e Laura Perselli (delitto di Bolzano), perché alla base vi erano intenzioni economiche ed ereditarie. Molti, invece, hanno associato la strage di Paderno Dugnano a quella di Novi Ligure dove, nel 2001, Erika e l’allora fidanzato Omar ammazzarono la madre e il fratellino della giovane, ma sono due situazioni diverse. In quel delitto c’era una complicità fra due ragazzi che avevano elaborato dei piani, mentre in questo caso il diciassettenne ha agito da solo e ciò che ha fatto pone al centro dell’attenzione tematiche delicate sul rapporto fra il mondo degli adulti e quello degli adolescenti”.

“Quella di Paderno Dugnano – prosegue il dottor Marzocchi – viene descritta come una famiglia tranquilla e serena in cui genitori e figli avevano relazioni positive, vivevano esperienze piacevoli e gratificanti insieme. Il diciassettenne ha dichiarato di aver ucciso il padre, la madre e il fratello perché si sentiva oppresso. Aveva la sensazione di essere un corpo estraneo all’interno del suo nucleo familiare. La sera prima della tragedia tutti assieme avevano festeggiato il compleanno del papà, ma lui non si sentiva come loro. Dentro di sé provava sentimenti che probabilmente non riusciva a comprendere, eppure queste sensazioni sono diventate via via sempre più forti. Si tratta di un disagio molto frequente fra gli adolescenti, nei quali il senso d’identità non è ancora formato: non sanno esattamente cosa stanno diventando, provano certe emozioni che faticano a comprendere fino in fondo e quindi a dare loro un nome. Questo diciassettenne provava un senso di oppressione, non si sentiva capito e ha riferito che non aveva un vero dialogo con nessuno, probabilmente nemmeno con se stesso. Non dando un nome a quello che provava, è passato immediatamente dalle sensazioni all’azione senza chiedersi ciò che stava provando, senza riuscire ad esprimerlo e a condividerlo con altri. Il passaggio immediato dalla sensazione all’azione è quello che avviene anche nei casi di risse e accoltellamenti, che sono diventati sempre più frequenti fra gli adolescenti e i giovanissimi. Spesso succedono per futili motivi, basta uno sguardo torvo o un like di troppo alla foto della propria fidanzata sui social. I fattori che incidono sono parecchi: questi fenomeni violenti sono diventati più frequenti dopo l’emergenza da Covid-19, ma vanno considerati anche i numerosi cambiamenti che hanno riguardato la nostra società. Le relazioni sociali sono mutate significativamente: i ragazzi sono sempre più connessi alla rete e comunicano quasi esclusivamente tramite gli smartphone. La comunicazione con gli adulti in genere risulta limitata: presi dal lavoro e da mille attività, raramente i genitori domandano ai figli cosa provano e come stanno emotivamente. È sempre più difficile comunicare il proprio disagio e trovare le parole per esprimerlo, prima di tutto a se stessi, come se vivessimo in una sorta di analfabetismo emotivo”.

Il contesto non aiuta. Il dottor Marzocchi annota: “Viviamo in un mondo in cui bisogna ostentare che tutto sia bello e le foto che postiamo sui social devono ritrarci felici. Manifestare emozioni negative diventa più difficile, così non resta che nasconderle e negarle. Si cerca di tenerle sotto una coperta, ma lievitano e sfociano in azioni comportamentali senza che ci sia un collegamento fra sensazioni, pensiero, linguaggio e comportamenti. Questa dovrebbe essere la giusta sequenza che porta alle nostre azioni, anche se può essere impegnativa e talvolta complicata”.

Infine, lo psicologo conclude: “Mancano le parole per esprimere il disagio. Il diciassettenne ha affermato di essersi realmente reso conto di cosa avesse fatto un minuto dopo aver ucciso i suoi familiari ma ormai era tardi. Significa che c’è stata l’azione ma non la percezione del dramma che stava compiendo con danni gravi e irreparabili per sé e per altre persone. Questa tragedia invita ognuno di noi a interrogarsi sulle emozioni che proviamo e su quello che significano prima che diventino azioni distruttive. È fondamentale che impariamo a riconoscere e accettare le emozioni, anche quelle negative, e chiedere aiuto quando sentiamo che il livello di disagio supera una certa soglia”.

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