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La gerla dei semi di betulla

Favole per fanciulli di ogni età

La goccia di rugiada

"Noi nasciamo dalle lacrime degli Dei, i quali, quando sono tristi, ci liberano sulla terra per diluire le loro tristezze nell’atmosfera"

Cosa ne sapete voi di cosa prova una goccia di rugiada?

Voi, privi di fantasia e di gioia, osservate le cose come vi è stato detto di fare.

Cosa ne sapete voi di cosa provo quando scivolo leggiadra su una foglia di banano?
Della sensazione di leggerezza, del cuore libero, del respiro che si ferma man mano che prendo velocità. Sì, perché anche noi gocce di rugiada respiriamo, esattamente come voi.

Non credete a chi vi dice che la rugiada è solo un fenomeno che consiste nella formazione di piccole gocce d’acqua sul suolo, che avviene in presenza di elevata umidità, quando il suolo si raffredda durante la notte. Sciocchezze!

Noi nasciamo dalle lacrime degli Dei, i quali, quando sono tristi, ci liberano sulla terra per diluire le loro tristezze nell’atmosfera.

Anche noi siamo piccole o grandi, lunghe o sottili. E anche noi siamo bianche o nere. Io, invece, sono mulatta: una piccola goccia di rugiada mulatta.

Da quando sono giunta sulla terra, le altre gocce bianche, trastullandosi nella loro virginale trasparenza, mi guardano in modo un po’ strano, quasi fossero loro le depositarie della giustezza. Non devo guardarmi solo dalle rondini che vogliono bermi, dai lombrichi che vogliono sfaldarmi, dalle radici che vogliono schiacciarmi, dal vento che vuole disperdermi, ma anche dalle maldicenze delle altre gocce.

Conoscete anche voi questo problema, vero?

Sono una piccola goccia di rugiada mulatta e, di foglia in foglia, cerco di ripararmi da tutto, minimizzando i raggi del sole che potrebbero dissolvermi nell’atmosfera. Sono sulla terra per trovare l’amore, come tutti. Le altre gocce, però, non vogliono fondersi con me, preferendo perpetuare la purezza della trasparenza.
Così, scivolo sui gelsomini, mi appendo al glicine, mi dondolo alla bouganville, gioco con i pistilli dei fiori di passiflora; ogni tanto, d’inverno, mi mescolo per gioco con i fiocchi di neve. Brevi e momentanee situazioni di illusoria affettuosità.

Oggi me ne sto pigra sotto una felce; c’è un vento strano, denso di energia, sebbene silenzioso. Sento un rumore che non è un rumore, ma un suono piacevole; forse voi lo chiamereste musica. Sono una goccia di rugiada curiosa e mi metto in ascolto, aprendo a dismisura la superficie eterea del mio corpo elementare.

Passa un cervo e ignora, per fortuna, la mia concentrazione.

La musica che arriva è celestiale, trasportata da milioni di note, diverse una dall’altra, che mi sfiorano, mi volteggiano intorno, mi danno le vertigini. Milioni di note bianche e nere, falsamente anarchiche ma in realtà parte di una sequenza perfetta.

Poi arriva lei. Una nota diversa. Un SOL bemolle che non è né bianco né nero. Un SOL bemolle solitario in mezzo al flusso.
Lo guardo. Mi guarda. Si avvicina. Mi avvicino.
Il suo suono è come la melodia nuziale degli Dei, il mio intercedere contro la gravità è come la silente cavalcata di quel cervo.

Siamo vicini. Sempre più vicini. Ci percepiamo, fino a fonderci. Mulatti solo nell’anima, uniti e unici nella diversità.

La musica ora risuona dentro di me. È un momento magico, che dura un secondo, intenso e profondo. Poi la nota sparisce nel nulla ed io mi abbandono alla potenza disintegrante di un raggio di sole, certa di aver generato uniformità e pace.

Lontano, un temporale porterà invece gocce battagliere, quelle che fanno capire al mondo che alla fine non siete voi a decidere. No, non siete Voi!

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