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Corte d'assise

Omicidio di Stefania Rota, il cugino Ivano Perico condannato a 15 anni e 8 mesi video

Secondo il perito l'uomo era capace di intendere e volere quando ha sfondato il cranio della parente con un batticarne, ma non è pericoloso socialmente. Caduta l'aggravante dei motivi abbietti, il 62enne è stato giudicato con rito abbreviato

Mapello. Quindici anni e 8 mesi. È la condanna pronunciata dalla presidente della Corte d’Assise di Bergamo Patrizia Ingrascì per Ivano Perico, il 62enne che l’11 febbraio 2023 uccise, colpendola con un batticarne, la cugina Stefania Rota, sua coetanea. Il cadavere della donna venne ritrovato solamente il 21 aprile, quando i vigili del fuoco e la polizia locale forzarono la porta della sua abitazione di via XI Febbraio, a Mapello, allertati da alcuni conoscenti preoccupati per la sua prolungata assenza.

Per Perico è caduta l’aggravante dei motivi abbietti, contestata dalla procura, ed ha così potuto accedere al rito abbreviato, che consente lo sconto di un terzo della pena.

La perizia psichiatrica

L’ultima udienza del processo, tenutasi lunedì 22 luglio, è iniziata con la relazione del perito nominato dal tribunale, la dottoressa Giuseppina Paulillo, psichiatra della Usl di Parma e direttrice dell’unità operativa complessa “Residenze psichiatriche e psicopatologia forense”, chiamata a stabilire se Perico era capace di intendere e volere al momento del fatto e la sua pericolosità sociale.

Ne è emerso un uomo affetto da un disturbo di personalità del tipo narcisistico “a tratti istrionico”, che tanto ha patito la perdita del lavoro avvenuta nel 2013, alla quale si sono aggiunti problemi coniugali e di salute che hanno spinto Ivano a chiudersi in se stesso, a isolarsi, a uscire poco di casa. Una persona sola, così come lo era Stefania Rota, sua parente e vicina di casa. “Perico aveva instaurato una relazione amicale con la cugina, una donna con un carattere bizzarro, bisognosa di aiuto, della quale nessuno si occupava”, ha dichiarato la dottoressa. I due si telefonavano, andavano a passeggiare insieme, si supportavano.

Fino a quando non è emersa una problematica relativa ad un magazzino che possedevano in comune e che si trova proprio nel mezzo delle loro abitazioni. Per questioni catastali lo avevano fatto rivalutare da alcuni tecnici, tra i quali anche il geometra al quale Perico aveva poi tentato di incendiare lo studio. Ivano si era accorto di un’incongruenza quando si era trovato a dover pagare la Tari: pensava, erroneamente, che 35 metri quadrati erano stati sottratti dalla sua proprietà in favore di quella della cugina.

La sera dell’omicidio era stata Stefania a chiamare Ivano perché aveva un problema con la tv. Lui era andato a casa sua, avevano iniziato a discutere del magazzino e lei aveva pronunciato una frase che aveva scatenato la furia omicida del cugino. “Adesso ti arrangi”, gli aveva detto, e lui aveva perso la testa. “Mi è salito un fuoco dentro, non mi era mai successa una cosa del genere. Mi ha dato una fucilata”, sono le parole che lo stesso imputato ha scritto nella confessione consegnata agli inquirenti.

L’imputato aveva lavorato per 20 anni, come libero professionista, come rappresentate del birrificio Ceres: era bravo, aveva successo, concludeva i contratti, guadagnava bene, si divertiva tra cene con i clienti, bottiglie costose, donne e cocaina. “Una persona superficiale, che usava le donne e che ha dovuto anche affrontare un percorso al Sert a causa della sua dipendenza da sostanze stupefacenti”, ha precisato il perito.

Dalla Ceres se n’era dovuto andare e si era fatto assumere alla Heineken come dipendente. Ma al nuovo datore di lavoro i modi di Perico non piacevano, così lo aveva licenziato con una buona uscita. Da lì sono iniziati anche i problemi coniugali, dato che la moglie aveva dovuto ricominciare a lavorare perché il marito era disoccupato. Ivano aveva tentato il suicidio, assumendo degli antipsicotici “ma non in quantità sufficiente ad ucciderlo” e si era convinto a farsi ricoverare. Lo avevano poi dimesso, prescrivendogli il litio, uno stabilizzatore dell’umore.

L’imputato, al termine della valutazione da parte del perito, è risultato pienamente capace di intendere e volere e non pericoloso socialmente “anche perché la confessione lo ha molto aiutato, è stata terapeutica per lui. Ha una buona tolleranza dello stato detentivo, dice che se lo merita”. Ha ringraziato i carabinieri quando lo hanno arrestato: “Grazie che lo avete scoperto”.

Le richieste dell’accusa

Il pm Letizia Ruggeri ha ripercorso le varie fase delle indagini ed ha concluso: “Lui inizialmente voleva fare del bene a Stefania ma alla fine non ha esitato a sfondarle il cranio con un batticarne, colpendola più e più volte, per 35 metri quadrati di capannone. Questo per l’accusa è un motivo abbietto per uccidere una persona”.

Il sostituto procuratore ha richiesto una pena finale di 15 anni e 6 mesi, valutando le attenuanti generiche della confessione e dell’incensuratezza prevalenti rispetto all’aggravante. Per il reato di incendio che gli veniva contestato è stata richiesta la continuazione.

Le richieste della difesa

L’avvocatessa Roberta Campana ha utilizzato la metafora dell’iceberg di Freud per spiegare cos’ha armato la mano di Perico, secondo la quale ogni azione conscia sarebbe solamente la punta della montagna di ghiaccio, mentre la gran parte sommersa rappresenterebbe l’inconscio. La frase pronunciata dalla cugina la sera dell’omicidio ha scatenato la rabbia di Ivano, accumulata nell’arco di 10 anni: “Uno scompenso psichico che ha portato ad un gesto gravissimo, non un motivo abbietto”, ha dichiarato la legale, chiedendo alla Corte di far cadere l’aggravante e concedere al suo assistito l’accesso al rito abbreviato. Richiesta che è stata accolta, ma la pena comminata all’imputato è stata comunque maggiore di due mesi rispetto alla richiesta del pm.

Tra sessanta giorni le motivazioni.

 

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