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Weekly market watch

Borsa, settimana positiva per tutti gli indici grazie al raffreddamento dell’inflazione Usa

Prima posizione per Iveco, seconda per Prysmian, terza Inwit. Maglia nera per Campari

Settimana che si chiude positivamente per tutti gli indici. Il FTSE MIB è crescito dell’1,7%, il FTSE ITALIA STAR dello 0,4% così come l’indice delle micro cap, il FTSE ITALIA GROWTH. I mercati sono stati sostenuti dai buoni dati d’inflazione dei diversi paesi dell’Eurozona di giugno (fra tutti la Germania con il 2,2%), oramai prossima al target del 2% della BCE, ma soprattutto dal raffreddamento dell’inflazione degli Stati Uniti che si è fermata al +3% tendenziale annuo, facendo però segnare una discesa dei prezzi dello 0,1% (prima volta degli ultimi tre anni) rispetto a maggio.

Prima posizone per Iveco (9,7%), che beneficia della firma dell’accordo quadro per la fornitura di oltre 900 autobus CROSSWAY all’austriaca OBB Postbus, la più grande compagnia di autobus del Paese e leader di mercato nei servizi di autobus regionali. Il contratto comprende 540 veicoli da consegnare entro la fine del 2026 e un’opzione per ulteriori 380 unità da consegnare entro la fine del 2028, per un valore complessivo di circa 225 milioni di euro.

Madaglia d’argento per Prysmian (7%) che beneficia del report positivo di Citigroup, che ha aumentato il target price a 67,5 euro per azione (da 62,5 euro) mantenendo la raccomandazione “Buy” e di Jefferies che ha aumentato il target price a 73 euro per azione (da 58 euro) migliorando la raccomandazione a “Buy” da “Hold”.

Terzo migliore rialzo della settimana per Inwit (4,2%) che ha comunicato che nel periodo compreso tra l’1 e il 5 luglio scorso ha acquistato n. 1.176.302 azioni ordinarie al prezzo medio unitario di euro 9,7530 per azione per un controvalore complessivo di euro 11.472.444.

Peggior titolo della settimana è stato Campari (-1,8) a seguito del taglio del target price da parte degli analisti di Jefferies a 9,50 euro per azione (da 10,5 euro) con la conferma del rating “Hold”.

Secondo peggior titolo ENI, che lascia sul campo l’1,5%, nonostante l’annuncio di una nuova scoperta nelle acque medio-profonde della Conca Salina nel Bacino di Sureste, in Messico. Le stime preliminari indicano un potenziale di circa 300-400 milioni di barili equivalenti di olio e gas associato in posto. Nell’operazione ENI è in joint venture al 50% con Repsol.

Chiude al terzo peggior posto della settimana Generali (-1,4%) in assenza di notizie particolari e nonostante sia continuato l’acquisto di azioni proprie: 247.938 azioni tra l’1 e il 5 luglio e 338.623 azioni tra il 24 e il 28 giugno

Da diverso tempo la discussione economica negli Stati Uniti si è concentrata sull’occupazione e sui salari medi. È noto che entrambi hanno consentito una crescita dei consumi delle famiglie e per questa via sostenuto il tasso di crescita del PIL. Fin qui tutto positivo. Il rovescio della medaglia è che un mercato del lavoro forte, unito agli oltre 2 trilioni di dollari di risparmi dovuti alla pandemia e alla generosa politica fiscale, non hanno consentito la disinflazione che la Fed si aspettava e di riflesso non hanno consentito l’inizio della discesa dei tassi di interesse.

Milioni di posti di lavoro sono andati persi durante il picco della pandemia di COVID-19 nel 2020. La crescita dell’occupazione negli Stati Uniti è rimbalzata poi con forza nel 2021, con una media di 604.000 posti di lavoro al mese. Questi rapidi guadagni occupazionali non sono stati sorprendenti, poiché il mercato del lavoro è uscito dal buco profondo creato dalla pandemia.

Tuttavia, la ripresa iniziale si è estesa in una robusta espansione, aggiungendo 205.000 posti di lavoro al mese in media nel 2023. Ciò è ben al di sopra delle stime storiche di crescita occupazionale di tendenza o di pareggio (definita come il ritmo necessario per mantenere stabile il tasso di disoccupazione), che è in genere stimato tra 70.000 e 90.000 posti di lavoro al mese. Nonostante questa crescita occupazionale in eccesso, il tasso di disoccupazione non è drasticamente diminuito, rimanendo molto vicino al suo valore di lungo periodo del 3,8% dall’inizio del 2022.

Questo lungo periodo di elevata crescita occupazionale ha sollevato interrogativi sulla necessità di rivalutare il livello di crescita occupazionale in pareggio. La domanda è quindi se la pandemia avrebbe potuto portare a cambiamenti strutturali a lungo termine che hanno influenzato i normali modelli del mercato del lavoro. In altre parole, ci si chiede se la dimensione della crescita mensile dei posti di lavoro necessaria per evitare un cambiamento nel tasso di disoccupazione dipende solo dalla dimensione della crescita della forza lavoro. Diciamo, ad esempio, che la forza lavoro aggiunge 100.000 individui al mese e il tasso di disoccupazione è attualmente al 4%. L’economia dovrebbe creare 96.000 posti di lavoro per pareggiare la crescita della forza lavoro ed evitare qualsiasi cambiamento nel tasso di disoccupazione. Un ritmo più rapido di crescita dei posti di lavoro spingerà il tasso di disoccupazione verso il basso perché le persone trovano lavoro più velocemente di quanto la forza lavoro cresca.

Tuttavia, se la crescita dei posti di lavoro non raggiunge quel numero, il tasso di disoccupazione inizierà a salire.
Come per diversi indicatori di riferimento dell’attività economica, anche per il tasso naturale di disoccupazione esiste un concetto di breve e lungo periodo di crescita dell’occupazione in pareggio, associato a orizzonti specifici per le tendenze nella crescita della forza lavoro. Il concetto di lungo periodo, abbastanza naturalmente, segue le tendenze nel livello della forza lavoro e le sue proiezioni nel lungo periodo. Il concetto di breve periodo riflette invece la variazione ciclica nella crescita della forza lavoro, fluttuando con le espansioni del ciclo economico e le recessioni attorno alla sua tendenza di lungo periodo.

Le tendenze a breve termine riprendono di più le recenti dinamiche della forza lavoro. La crescita della forza lavoro a breve termine è stimata intorno a 145.000 unità al mese nel primo trimestre del 2024. Ma lo scenario di elevata immigrazione del CBO (Congressual Budget Office), che include aggiustamenti alla dimensione stimata della forza lavoro negli ultimi tre anni, è significativamente più alto e pari a 240.000 unità al mese.

Secondo un report della Fed di San Francisco e alla luce di quanto sopra, il tasso di disoccupazione a lungo termine sarebbe del 3,8%. La stima è che la crescita dell’occupazione in pareggio a lungo termine oscillerà tra 70.000 e 90.000 posti di lavoro al mese nel 2024, anche dopo aver preso in considerazione la recente crescita della forza lavoro superiore alle attese e le proiezioni per scenari di maggiore immigrazione (tutta comunque da verificare post elezioni).

Il tasso di disoccupazione è stato molto vicino al suo valore di lungo periodo dall’inizio del 2022, mentre gli incrementi occupazionali mensili nei sei mesi precedenti al maggio 2024 hanno costantemente superato le stime della crescita occupazionale di pareggio che mantiene costante la disoccupazione. Questo andamento ha sollevato dubbi sul fatto che il ritmo di pareggio della crescita occupazionale sia aumentato rispetto alle stime passate. L’analisi della Fed di San Francisco distingue tra crescita occupazionale di pareggio di breve periodo, che dipende dalla volatilità del mercato del lavoro a breve termine, e crescita occupazionale di pareggio di lungo periodo, che riflette determinanti più durature della crescita della forza lavoro.

Di fatto il ritmo di pareggio di lungo periodo della crescita occupazionale è cambiato poco rispetto alle stime precedenti di poco meno di 100.000 unità al mese, dopo aver tenuto conto delle dinamiche di breve periodo del ciclo economico e dell’immigrazione.

Nonostante ciò, il ritmo di pareggio di breve periodo rimane ben al di sopra del valore di lungo periodo per il momento, il che spiega la stabilità del tasso di disoccupazione di fronte a una crescita occupazionale persistentemente elevata.
Come sappiamo, i dati sul mercato del lavoro sono “ritardati” rispetto ad altri indicatori economici. Questo significa che quando questi iniziano a rallentare la crescita economica potrebbe già essere compromessa e scivolare verso la recessione.

Da evidenziare che l’ultima lettura della disoccupazione mostra come l’economia si sta avvicinando all’attivazione della cosiddetta regola Sahm. Secondo la regola, dal 1960 ogni volta che il tasso di disoccupazione medio mobile trimestrale è aumentato dello 0,5% o più rispetto al minimo medio mobile trimestrale precedente, è seguita una recessione. Il tasso attuale è ora dello 0,43% più alto del minimo, il che significa che un aumento inferiore allo 0,1% porrebbe l’aumento alla soglia. Diventa quindi importante per i mercati finanziari e gli investitori cercare di capire quale possa essere il punto di equilibrio della crescita dell’occupazione e dei salari che consenta una crescita del PIL con un’inflazione nell’intorno del 2%. E di riflesso quando la Fed potrà cominciare a ridurre i tassi di interesse.

Arriviamo quindi al dilemma della Fed: tagliare i tassi già a settembre accettando un’inflazione superiore al 2% e allo stesso tempo sostenere i consumi e il mercato del lavoro, oppure mantenere tassi piu alti a lungo per stroncare l’inflazione, facendo però scivolare il sistema economico verso la recessione e aumentare la disoccupazione? Tra l’altro in un anno elettorale.

 

Generico luglio 2024
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