• Abbonati
Weekly market watch

Mercati finanziari, settimana positiva per gran parte degli indici

Il punto settimanale: tutti i principali indicatori PMI dell’Europa di giugno si sono ulteriormente indeboliti

Generico luglio 2024

 

Settimana che si chiude positivamente per gran parte degli indici. Il FTSE MIB è crescito del 2,5%, il FTSE ITALIA STAR dell’1,9%, mentre è invece sceso l’indice delle micro cap, il FTSE ITALIA GROWTH, che lascia sul campo lo 0,3%.

Settimana che ha visto tutti i principali indicatori PMI dell’Europa di giugno indebolirsi ulteriormente, fino a sfiorare il livello dei 50 punti che, come noto, indica recessione. Recessione che la Lagarde non si è sentita ancora di escludere in occasione del recente meeting della BCE a Sintra. Opposti a quelli dell’Europa, i PMI statunitensi tendono invece a crescere, anche se con meno forza rispetto a tre mesi fa, indicando come l’economia americana, benchè in moderato raffreddamento, continui a rimanere forte. Raffreddamento evidenziato anche dal mercato del lavoro: la disoccupazione in giusno è salita al 4,1% (dal 4% di maggio), mentre le buste paga medie sono cresciute del 3,9% (4,1% in maggio).

Le migliori tre performance vedono tre banche: MPS +10%, Unicredit +7,1% e BPER +7%. Riprendono i rumors del risiko bancario, che vedono in prima linea BPER e il Gruppo Unipol Banca: quest’ultimo ha sottoscritto un derivato sul 4,77% di BPER. Il derivato prevede una posizione lunga al 25 febbraio 2028 e che dunque premierà il gruppo presieduto da Carlo Cimbri nel caso in cui le azioni dell’ex popolare emiliana si rivalutino nel tempo. La ripresa dei rumors non poteva non contagiare anche MPS, visto che il Tesoro, seppure senza fretta (come ha chiarito), dovrà uscire completamente dal capitale della banca.

Negativa Amplifon (-7%), dopo che diverse banche d’affari hanno rivisto al ribasso le stime sulla società per il 2° trimestre 2024 e per l’intero esercizio. Negativa anche Saipem (-2,9%) dopo che Norges Bank ha ridotto la sua partecipazione al 2,964% (dal 3,082%). Terzo posto per Iveco (-2%), prevalentemente su prese di beneficio dopo la performance dell’ultimo periodo.

L’inflazione continua tenere banco, perché da essa dipende la dinamica della flessione dei tassi di interesse, dalla quale dipende a sua volta l’andamento dei mercati finanziari. Abbiamo quindi cercato di decifrare i processi di inflazione e disinflazione predendo in esame il mercato statunitese (ma crediamo che i risultati non siano molto diversi anche per l’Europa). La crescita dei prezzi in America è aumentata all’inizio del periodo post-COVID, spinta da diversi shock economici come le interruzioni delle catene di fornitura e i vincoli all’offerta di manodopera. Dopo il picco del 9,1% del giugno 2022, l’inflazione dell’indice dei prezzi al consumo (CPI) è diminuita rapidamente nei due anni successivi, scendendo a maggio di quest’anno al 3,3%. Cosa spiega i rapidi cambiamenti nelle dinamiche dell’inflazione statunitense?

Sicuramente l’interazione tra le pressioni della catena di fornitura e la rigidità del mercato del lavoro ha amplificato l’impennata dei prezzi nel 2021. Riteniamo che queste stesse forze che hanno guidato l’aumento non lineare dell’inflazione abbiano lavorato al contrario dalla fine del 2022, accelerando il processo disinflazionistico.

Per poter sostenere questo, esaminiamo dapprima l’impennata dell’inflazione. Abbiamo individuato almeno tre shock dal lato dell’offerta:

  • i colli di bottiglia della catena di approvvigionamento, che hanno aumentato i prezzi degli input intermedi importati (shock dei prezzi degli input);
  • la crescente tensione del mercato del lavoro dovuta al calo dell’offerta di lavoro, ad esempio derivante dai prepensionamenti (shock dell’offerta di lavoro);
  • le pressioni sulla catena di fornitura subite dai concorrenti stranieri, che hanno consentito alle aziende statunitensi di espandere i propri margini di profitto senza perdere quote di mercato (shock della concorrenza straniera).

Secondo la nostra analisi, la combinazione dei tre shock ha generato un picco di inflazione di circa 3 punti percentuali al di sopra del livello di inflazione di stato stazionario ipotizzato del 2%, ovvero circa tre quarti dell’aumento dell’inflazione core osservata nel corso del 2021 e del 2022. È importante anche sottolineare che lo shock combinato ha un effetto amplificato: quando questi colpiscono l’economia congiuntamente, l’inflazione aumenta di 0,7 punti percentuali in più rispetto a quando colpiscono separatamente.
Perché uno shock congiunto genera una risposta inflazionistica amplificata? Intuitivamente, quando uno shock congiunto sui prezzi degli input importati e sulla manodopera colpisce l’economia, la sostituzione tra manodopera e intermedi importati diventa meno efficace per le aziende. In tempi normali, le aziende possono allontanarsi da qualsiasi fattore che subisca un aumento isolato dei costi. Ad esempio, le aziende potrebbero assorbire le pressioni salariali nell’economia nazionale sostituendo gli input di provenienza nazionale, che utilizzano manodopera nazionale, con intermedi importati dall’estero, utilizzando di fatto manodopera straniera. Quando sia i costi degli input intermedi che i costi della manodopera aumentano contemporaneamente, come nel periodo immediatamente successivo al COVID, la portata di questa sostituzione diminuisce. Di conseguenza, le aziende non riescono a controllare i costi in modo altrettanto efficace, amplificando di fatto il passaggio dei maggiori costi ai prezzi amplificando, per questa via, il processo inflazionistico.

Inoltre, i problemi della catena di fornitura che i concorrenti stranieri hanno sperimentato nel periodo immediatamente successivo al COVID hanno ridotto la concorrenza effettiva affrontata dai produttori nazionali, aumentando ulteriormente il passaggio degli shock avversi sui prezzi da parte delle aziende nazionali.

Passando alla disinflazione, riteniamo che le stesse forze che hanno generato l’impennata dell’inflazione abbiano agito al contrario. Un accesso più facile agli input esteri, unito ad un mercato del lavoro interno meno rigido, hanno reso più facile per i produttori nazionali la sostituzione tra manodopera e prodotti intermedi. Ad esempio, la riduzione dei colli di bottiglia nella catena di fornitura potrebbe aver reso più allettante reperire input aggiuntivi dall’estero per contenere le pressioni salariali. La capacità di sostituzione tra gli input ha contribuito ad un calo più rapido dell’inflazione rispetto ad un allentamento isolato sui prezzi degli input o sulle pressioni del mercato del lavoro. La maggiore concorrenza con le aziende straniere ha ulteriormente smorzato i ricarichi dei produttori statunitensi, esercitando un’ulteriore pressione al ribasso sui prezzi.

Sembra inoltre che gli shock dal lato dell’offerta del primo periodo post-COVID possano aver aiutato i lavoratori poco qualificati degli Stati Uniti, contribuendo a spingere la disoccupazione ai minimi storici. Quando la sostituzione tra manodopera nazionale e input intermedi è compromessa, i lavoratori poco qualificati ne traggono i maggiori benefici, a causa della domanda di manodopera aggiuntiva per produrre input.

La conclusione è che lo shock combinato di input importati e offerta di lavoro potrebbe aver amplificato l’impennata dell’inflazione nel primo periodo post-COVID. Con il dissiparsi dello shock, la nostra analisi suggerisce che lo stesso meccanismo ha funzionato al contrario e accelerato il calo dell’inflazione. L’effetto di amplificazione potrebbe essere una spiegazione per la disinflazione più rapida del previsto negli ultimi due anni.

Non ci aspettiamo che gli shock dal lato dell’offerta spieghino completamente l’aumento e la diminuzione dell’inflazione a causa dell’importante ruolo svolto dai fattori dal lato della domanda, come i trasferimenti governativi durante la pandemia. È importante comunque notare che questi fattori dal lato della domanda potrebbero essere parzialmente responsabili dei fattori dal lato dell’offerta che osserviamo.

L’insieme congiunto dei fattori che hanno portato la disinflazione è tutt’ora presente e continua ad operare. E questo è importante per i mercati finanziari. Per i prossimi mesi ci aspettiamo tuttavia che la pressione al ribasso sull’inflazione dovuta alle forze di amplificazione evidenziate diminuisca gradualmente, poiché le condizioni delle catene di approvvigionamento sono tornate alla normalità, limitando di fatto la disinflazione derivante dall’interazione con il mercato del lavoro. E’ il problema dell’ultimo miglio da percorrere, il più difficile, per portare l’inflazione al 2%.

 

 

Antonio Tognoli
Antonio Tognoli

Ho iniziato a lavorare come analista finanziario nel 1983, occupandomi di economia e politica economica e nel frattempo mi sono laureato in scienze bancarie, finanziarie e assicurative. Oggi mi occupo di analisi macroeconomica all’interno di Corporate Family Office – CFO SIM. Giornalista pubblicista, docente ai corsi post laurea de “24Ore Business School” e dell’Associazione Italiana per l’Analisi Finanziaria – AIAF e co-autore del libro Analisi Finanziaria e Valutazione Aziendale, a cura di Franco Pedriali.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
Più informazioni
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI