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Il fenomeno

Da eroi a vittime, a Bergamo un’aggressione al giorno verso medici e infermieri: tutti i dati

Il pronto soccorso è il reparto più a rischio con 120 episodi segnalati lo scorso anno negli ospedali pubblici. Seguono i reparti di degenza (84) e i servizi psichiatrici (37). Casati (Pd): "Necessario investire nei servizi territoriali, nelle case di comunità e in politiche di assunzione"

Bergamo. Sembrano lontani i tempi della pandemia, quando ogni tre per due i medici erano definiti “angeli”, “eroi” e chi più ne ha più ne metta. Anzi, il rispetto per chi lavora nella sanità pubblica è spesso un optional, come dimostrano i dati raccolti dall’Agenzia di controllo del sistema socio-sanitario lombardo.

Nel 2023, sono 107 le aggressioni segnalate nei presidi dell’Asst Papa Giovanni XXIII, che oltre all’ospedale di Bergamo comprende quello di San Giovanni Bianco e i vari servizi territoriali: la maggior parte sono aggressioni verbali (insulti o minacce), ma in 29 casi si è arrivati anche all’uso delle mani, della violenza fisica. I più bersagliati sono gli infermieri (62 episodi), seguiti dai medici chirurghi (20). Sono 55, invece, le aggressioni registrate nelle strutture dell’Asst Bergamo Ovest (ospedali di Treviglio-Caravaggio e Romano di Lombardia): 11 fisiche e le restanti verbali, anche in questo caso la maggior parte nei confronti di infermieri (36) e medici chirurghi (10). Salgono a 165 le segnalazioni se si guarda all’Asst Bergamo Est (che fa capo all’ospedale Bolognini di Seriate, ma include anche Alzano Lombardo, Calcinate, Gazzaniga, Lovere, Piario, Sarnico e Trescore Balneario): 34 aggressioni fisiche e 131 verbali. Presi di mira ancora infermieri (125 casi), medici chirurghi (16) e operatori sociosanitari (7). Il pronto soccorso è al primo posto nella triste classifica delle aggressioni (120 nelle strutture pubbliche bergamasche). Seguono i reparti di degenza (84) e i servizi psichiatrici (37), in cui la rabbia è spesso legata alle patologie dei pazienti.

A queste, si aggiungono le aggressioni nei confronti di medici di famiglia (3 quelle segnalate dall’Ats Bergamo nel 2023). A febbraio, avevamo raccontato la disavventura del dottor Pietro Poidomani, 68 anni, preso per il collo perché aveva chiesto ad alcuni pazienti di uscire dal suo ambulatorio a Cividate al Piano, a causa del sovraffollamento. “Non vedo l’ora di andare in pensione”, fu il suo commento. Gli mancavano venti giorni.

Limitandosi ai primi sei mesi del 2023, il resoconto dell’Agenzia di controllo integra anche i dati di ospedali e ambulatori lombardi, sia pubblici che privati. Ebbene, sono 6.961 le aggressioni. Significa che medici, infermieri e operatori socio sanitari sono stati insultati, minacciati, spintonati o, in casi estremi, picchiati, al ritmo di 38 attacchi al giorno. In sei mesi, dunque, è già stata superata la metà di tutti gli episodi segnalati nel 2022 (11.508).  Negli ospedali pubblici e nei servizi gestiti dal 118, in due casi su tre è il paziente a scagliarsi contro il personale, fisicamente o verbalmente. Nel 30% degli episodi sono invece i familiari, gli accompagnatori o i caregiver a prendersela con i camici bianchi.

Di fronte a questa escalation, Regione e ospedali stanno prendendo o hanno preso delle contromisure. In alcune strutture sanitarie all’interno dei pronto soccorso è stato installato un pulsante d’emergenza per allertare le forze dell’ordine in caso di necessità. Altre hanno invece puntato sulla formazione del personale e sull’inserimento in pronto soccorso della figura del caring nurse, un infermiere che si occupa di dare informazioni ai parenti e di accompagnare il malato nel percorso di cura.

“I dati evidenziano un aumento dei casi di aggressione, infatti si passa dai 31 episodi/giorno (anno 2022) ai 38 episodi/giorno (anno 2023 primo semestre) a livello lombardo – commenta Davide Casati, consigliere regionale bergamasco del Pd -. Il dato ovviamente è preoccupante e coinvolge soprattutto infermieri, oss, chirurghi. È necessario un intervento forte da parte di Regione per tutelare al massimo il personale applicando pienamente la Legge Regionale n. 15 del 2020 ed investendo sulla sanità territoriale evitando la prassi ormai obbligata di recarsi in ospedale. L’eccessiva presenza in ospedale, ed in particolare nei pronto soccorso, genera infatti molte ore di attesa che alimentano stress e rabbia nei confronti del personale che nulla centra, è poco, ed è ‘in prima linea’ per garantire un servizio. Ecco perché è necessario investire presto nei servizi territoriali, nelle case di comunità e soprattutto in politiche di assunzione di nuove personale sanitario”.

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