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Oltreconfine: economia e geopolitica

G20 in Brasile: un forum sospeso tra passato e presente

Nonostante le difficoltà, resta un’occasione di dialogo centrale, soprattutto in prospettiva, sui grandi temi che necessariamente richiedono un certo grado di coordinamento internazionale: transizione ecologica e intelligenza artificiale in primis

Quest’anno il Summit del G20 si terrà a novembre nella splendida cornice di Rio de Janeiro, aprendo una stagione da vero protagonista per il Brasile. Oltre a presiedere il G20, il paese sudamericano avrà la presidenza di turno dei BRICS nel 2025 e la Presidenza della COP30 (la Conferenza della Parti che hanno ratificato la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) nello stesso anno. Ma tornando al G20, è interessante soffermarsi su questo appuntamento chiave, simbolo della globalizzazione del nostro secolo, che ne segue la dinamica evolutiva.

Cominciamo dall’inizio, per avere un po’ di contesto: il G20 nasce in riposta alle crisi finanziarie degli anni ’90 nel Sud Est Asiatico, inizialmente su impulso dei Paesi del G7 (forum che include Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, a cui partecipa anche l’Unione Europea)  i quali, di fronte a questo evento finanziario con potenziali riverberi su scala globale, invitarono una serie di nazioni (sia avanzate che in via di sviluppo) a costituire un forum essenzialmente tecnico (composto da ministri delle finanze e governatori delle banche centrali) con l’obiettivo di prevenire il diffondersi della crisi asiatica.

Il salto di qualità avviene tuttavia con un’altra crisi finanziaria, ben più grave e a noi più vicina nel tempo: quella dei mutui subprime del 2008, iniziata negli Stati Uniti. In seguito a questo evento di portata sistemica non saranno più solamente i ministri delle finanze ed i governatori delle banche centrali a riunirsi in appositi appuntamenti, ma anche i rappresentanti apicali degli Stati partecipanti (Presidenti o Primi Ministri, a seconda dell’assetto istituzionale). L’obiettivo iniziale è quello di mitigare le conseguenze catastrofiche della crisi finanziaria globale, ma con il tempo il G20 matura l’ambizione di diventare una sorta di comitato direttivo dell’economia mondiale, ampliando la propria mission verso una serie di temi che necessitano di uno stretto coordinamento internazionale: standard tecnologici, salute, commercio, ambiente e diritti umani tra gli altri. Questo meccanismo di coordinamento si esprime organizzando un Summit principale e diverse iniziative collaterali all’interno degli Stati Membri, seguendo una logica di turnazione.

Accanto al nucleo principale del G20, sorgono poi una serie di Engagement Group che hanno il compito di riunire rappresentanti dei vari segmenti della società (giovani, donne, think tank e imprese tra gli altri) con l’obiettivo di presentare le proprie istanze ai leader del G20 attraverso un comunicato ufficiale. Un esempio ne è il B20, che raggruppa la comunità imprenditoriale internazionale, coordinato in Italia da Confindustria, al quale ho avuto il piacere di partecipare nel corso degli ultimi anni, toccando con mano la passione, la competenza e l’entusiasmo di coloro che dedicano tempo ed energie per portare gratuitamente il proprio contributo.

La nascita e la crescita del G20 ricalcano quindi la storia degli ultimi decenni: sull’onda della globalizzazione, in un mondo ancora sostanzialmente unipolare a guida statunitense, si diffonde l’entusiasmo per un organismo che sia in grado di mettere intorno ad un tavolo paesi industrializzati ed in via di sviluppo, con l’obiettivo di cercare soluzioni comuni a problemi la cui complessità travalica la dimensione nazionale.

L’idea di fondo del G20, ovvero di un mondo cooperativo e non competitivo, ha da sempre un grande appeal, ma l’architettura istituzionale di questa organizzazione si poggia di fatto su due elementi che ne hanno sempre reso difficile il cammino: il primo è l’assenza di un reale meccanismo di enforcement, ovvero un’autorità superiore che sia in grado di sanzionare in maniera efficace i comportamenti che deviano dalla strada comune tracciata, problema comune alla maggior parte delle organizzazioni multilaterali sorte nel dopoguerra. Pensiamo al commercio: l’Organo per la Risoluzione delle Dispute dell’Organizzazione Mondiale del Commercio non ha mai realmente funzionato ed è in stallo da anni, rendendo inefficaci i ricorsi contro pratiche commerciali scorrette dei singoli stati che non rispettano le regole cui hanno aderito.

Ed arriviamo quindi al secondo vulnus costitutivo: per quanto concepito per un mondo multilaterale, il G20 ha preso corpo in un mondo sostanzialmente unilaterale, dove il ruolo degli Stati Uniti è stato centrale nell’immaginare il baricentro dell’organizzazione, per lo meno fino all’ascesa dei Paesi un tempo considerati in via di sviluppo. Le ambizioni e la veloce crescita dei paesi del cosiddetto Global South, entusiasti di costruire un mondo multipolare e non più a trazione occidentale, stanno gradualmente spostando l’asse su cui si è retto questo meccanismo verso un equilibrio diverso da quello del passato, suggerendoci quindi una riflessione seria in merito alla natura attuale del G20 ed alla visione che possiamo averne per il futuro.

Con il mutare degli assetti geopolitici, la voce dei paesi del Sud Globale è divenuta sempre più ferma, ed il sistema a turnazione della presidenza del G20 ha aumentato, anche per una ragione numerica, la visibilità ed il protagonismo di queste nazioni all’interno del Summit, al punto che si parla talvolta di  “Southernization” del G20. Parallelamente, con il progressivo erodersi delle relazioni tra alcuni paesi del Sud Globale ed i paesi occidentali, l’approccio cooperativo che era tra i valori fondanti del G20 ha lasciato crescente spazio ad una dinamica competitiva.

Specchio di questi mutamenti è l’evoluzione delle dichiarazioni congiunte (Comunicati Finali) che i leader ed i ministri rilasciano al termine del Summit e degli incontri ministeriali periodici, come guida per la comunità internazionale sui prossimi passi da intraprendere. Negli ultimi anni tali dichiarazioni sono divenute decisamente vaghe e addirittura in diverse occasioni non è stato possibile raggiungere un accordo sul testo da produrre, certificando l’indebolimento del forum.

Nonostante le difficoltà, il G20 resta un’occasione di dialogo centrale, soprattutto in prospettiva, sui grandi temi che necessariamente richiedono un certo grado di coordinamento internazionale.

Anzitutto il tema della transizione ecologica: ogni iniziativa intrapresa unilateralmente dall’Europa è destinata a non avere successo se non vengono coinvolti i paesi del G20, poiché il nostro continente produce meno di un decimo delle emissioni globali. Affinché le nostre azioni possano avere un impatto, è necessario coinvolgere le altre grandi potenze economiche.

Un altro tema che richiederà in prospettiva grande coordinamento è quello dell’intelligenza artificiale: anche in questo caso, un forum all’interno del quale immaginare un orientamento normativo comune può essere decisivo per andare incontro ad una nuova frontiera tecnologica che presenta non solo opportunità, ma anche rischi ancora da in parte da comprendere.

In terzo luogo, in un periodo storico in cui il commercio globale si è avviato verso una fase di protezionismo più o meno accentuato a seconda delle declinazioni geografiche, risulta prezioso mantenere dei canali di dialogo multilaterali, soprattutto per un Paese esportatore, trasformatore e privo di materie prime come l’Italia.

In conclusione, seguendo la dinamica della globalizzazione, anche il G20 si trova ad essere ridimensionato, rispetto agli obiettivi iniziali, nella sua importanza e ambizione, vivendo una crescente assertività da parte dei Paesi del Sud Globale ed assistendo ad una trasformazione graduale della dinamica relazionale tra i suoi membri, dalla cooperazione alla competizione. Sebbene ridimensionato, rimane tuttavia l’unico forum di alto profilo che ci consenta di ricercare soluzioni complesse a problematiche di portata globale, cercando di allontanare lo spettro della conflittualità: è difficile, ma vale la pena di provarci.

 

Alessandro Somaschini

Alessandro Somaschini*, bergamasco, classe 1984, è Vice Presidente Nazionale dei Giovani Imprenditori di Confindustria, Membro del Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo presso il Ministero degli Affari Esteri (MAECI) e Membro del Gruppo Tecnico Internazionalizzazione di Confindustria.

È inoltre Membro della Task Force Trade & Investment del B20 – Brasile 2024, engagement group ufficiale della comunità imprenditoriale presso il G20, Membro del Comitato Esecutivo di YES for Europe e Presidente della delegazione italiana della G20 Young Entrepreneurs Alliance, oltre ad essere Consigliere di Amministrazione di diverse aziende bergamasche.
In passato è stato Membro di Task Force all’interno del B20 nelle edizioni organizzate in Italia (2021), Indonesia (2022) e India (2023), ed in precedenza ha ricoperto le cariche di Membro del
Comitato Esecutivo dell’Associazione Italiana dei Costruttori di Organi di Trasmissione (ASSIOT) e di Vice Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Bergamo.
È stato Consigliere di Amministrazione di Somaschini Automotive ed Executive Vice President di Somaschini North America, lavorando negli Stati Uniti nel settore della componentistica meccanica.
Ha cominciato la sua carriera a Roma nel settore Aerospazio e Difesa all’interno del Gruppo Finmeccanica (oggi Leonardo), dopo essersi laureato con lode in International Management presso l’Università Bocconi di Milano.

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