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Salute

L'intervista

Otite dei nuotatori: cos’è, cause e rimedi

I bambini sono colpiti più frequentemente rispetto agli adulti: il picco di prevalenza è tra i sette e i dodici anni

Per molti è ormai tempo di vacanze. E così anche la voglia di ricominciare ad andare in piscina o al mare. Un’abitudine salutare che però può nascondere qualche insidia, come la cosiddetta ‘otite dei nuotatori’, così chiamata perché appunto riguarda in particolare chi nuota. Ma di cosa si tratta? Quali sono i fattori di rischio? E cosa si può fare per attenuare fastidi e dolore? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Giulia Locatelli, otorinolaringoiatra di Smart Clinic all’interno del centro commerciale ‘Le Due Torri’ e di Oriocenter.

Dottoressa Locatelli, cosa si intende per otite del nuotatore?

L’otite del nuotatore, o ‘otite esterna’, è un’infezione batterica dell’orecchio esterno che si manifesta inizialmente con un fastidioso prurito, a cui rapidamente segue un intenso dolore che negli stadi avanzati può arrivare a impedire la masticazione. Si tratta di un quadro clinico estremamente doloroso; la dermatite infatti può estendersi in profondità provocando pericondrite ovvero infiammazione del pericondrio (membrana di rivestimento della cartilagine del condotto uditivo esterno) che è ricca di vasi e nervi. Insorge più frequentemente nei mesi estivi e in particolare modo nei nuotatori: il clima caldo-umido e la macerazione della cute per ripetuti contatti con l’acqua possono causare intenso prurito. I microtraumi provocati dal grattamento che ne consegue diventano poi facili vie di accesso per i batteri che scatenano l’infiammazione.

Quali sono gli altri fattori che possono favorirne la comparsa?

L’assenza totale di cerume (secrezione fisiologica dell’orecchio che ha un’attività antibatterica e protettiva), l’utilizzo di saponi alcalinizzanti, terapie con farmaci immunosoppressori (ad esempio cortisonici e chemioterapici) e la presenza di alcune patologie sistemiche come anemia, diabete e carenze vitaminiche.

Ma quindi è sbagliato togliere tutto il cerume dalle orecchie?

Sì, un eccesso di pulizia non fa bene alla salute dell’orecchio. In particolare, le manovre di pulizia del condotto uditivo esterno, attraverso l’utilizzo di bastoncino di cotone, sono sconsigliate poiché favoriscono la formazione del tappo di cerume e i microtraumatismi della cute. E non solo: il loro utilizzo scorretto, in modo troppo aggressivo e profondo, può arrivare a provocare una perforazione timpanica.

In che modo si può prevenire l’otite esterna?

Dopo avere fatto il bagno è fondamentale risciacquare accuratamente il condotto uditivo esterno con acqua dolce per rimuovere eventuali residui di sale o di cloro, ricordandosi però di non eccedere con l’igienizzazione per evitare microtraumatismi.

Per pulire le orecchie in modo adeguato è sufficiente rimuovere lo sporco passando il dito solo esternamente sul padiglione auricolare durante la doccia. Chi ne soffre frequentemente, inoltre, dovrebbe evitare il contatto con l’acqua durante il bagno al mare e in piscina oppure, se questo non fosse possibile, detergere il condotto uditivo esterno con un blando disinfettante (ad esempio acqua borica) dopo ogni bagno. Lo stesso vale anche per quando ci si lava i capelli.

Cosa fare, invece, per alleviare il fastidio?

La terapia prevede, dopo parere medico, l’utilizzo di farmaci antifiammatori per attenuare il dolore e antibioticoterapia (locale o sistemica, in base alla gravità della situazione) per eliminare l’infezione. La terapia è efficace se eseguita per almeno otto giorni, periodo durante il quale va assolutamente evitato l’ingresso di acqua nell’orecchio interessato.

I bambini sono più esposti al rischio di otite esterna come succede nel caso dell’otite media? Se sì, perché?

Anche in questo caso i bambini sono più frequentemente colpiti rispetto agli adulti, non per una questione anatomica (come nel caso dell’otite media) ma in quanto hanno la pelle più delicata, fanno bagni in mare o piscina più lunghi e frequenti ed eseguono lavaggi auricolari meno accurati. Si tratta comunque di una patologia rara prima dei due anni e che raggiunge il picco di prevalenza tra i sette e dodici anni.

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