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Valori nel mondo

L'analisi

L’inflazione cresce, i salari non tengono il passo: bisogna riportare il lavoro al centro della democrazia

I dati parlano di una tendenza positiva nel mercato del lavoro italiano ma dicono poco sulla qualità della vita e sulle condizioni concrete in cui lavoratrici e lavoratori dipendenti vivono questa realtà e sui problemi che devono affrontare

In questi ultimi mesi, il Presidente del Consiglio, vari ministri e la stampa mainstream hanno cercato di fornire una visione positiva della situazione lavorativa e occupazionale del nostro Paese:

– Crescita dell’occupazione: nel primo trimestre del 2024, il numero di occupati è aumentato di 75.000 unità, corrispondente a un incremento dello 0,3% rispetto al trimestre precedente;

– Ad aprile 2024, l’occupazione è cresciuta dello 0,4%, pari a 84.000 unità. Il tasso di disoccupazione è sceso al 6,9%, con una diminuzione di 0,2 punti percentuali;

– Per il terzo trimestre del 2024, le previsioni indicano un incremento nelle assunzioni con un Net Employment Outlook (NEO) del +16%, al netto degli aggiustamenti stagionali.

Questi dati, che non si possono negare, segnalano oggettivamente l’esistenza di una tendenza positiva nel mercato del lavoro italiano, con una crescita dell’occupazione e una diminuzione del tasso di disoccupazione.

Tuttavia, senza mettere in dubbio questi dati, desidero far notare, sulla base della mia lunga esperienza di militante per il lavoro, che mentre le principali statistiche economiche misurano le situazioni generali, di solito dicono poco sulla qualità della vita e sulle condizioni concrete in cui lavoratrici e lavoratori dipendenti vivono questa realtà e sui problemi che devono affrontare.

Ciò crea uno scollamento tra il modo in cui interpretiamo i dati sul lavoro e come questi influenzano la condizione dei dipendenti subordinati. Non si tratta di riproporre una visione classista , che oltretutto non sarebbe fuori luogo visto il crescere delle disuguaglianze nel nostro Paese, ma di concentrarci su un’analisi esistenziale e sociale.

Ognuno di noi interpreta la cosiddetta realtà in cui vive utilizzando certamente i dati, ma soprattutto attraverso l’esperienza personale cercare di comprendere nel profondo la realtà che i dati cercano di illustrare.

Assumendo questo punto di vista, si comprende perché la nostra situazione economica e lavorativa è percepita dalle persone al lavoro con un forte pessimismo, in contrasto con l’enfasi governativa. Una grande parte dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti continua a pensare che non ci siano motivi sufficienti per rallegrarsi.

Ad esempio, se consideriamo il rapporto tra la crescita dei posti di lavoro, l’aumento dell’inflazione e l’andamento dei salari, vediamo che gli ottimismi si scontrano con una realtà non idilliaca: l’inflazione cresce mentre i salari non tengono il passo, e i redditi e i profitti aumentano oltre l’inflazione. È giusto questo? Chi vive di salario e di pensioni ha meno denaro da spendere.

Uno sguardo più approfondito sulla realtà mostra come sia poco utile utilizzare le statistiche mainstream come unico punto di riferimento. Queste sono medie, quindi i salari di molte persone non sono aumentati più velocemente dell’inflazione e una larga parte di chi vive di salario e di pensione trova molto difficile far fronte alle spese familiari settimanali e mensili. Se consideriamo l’andamento dei prezzi al consumo, possiamo capire meglio perché lavoratrici, lavoratori e pensionati a basso reddito non si lasciano coinvolgere dall’ottimismo dei proclami governativi.

Inoltre, bisogna considerare che il costo dell’abitare è in progressivo aumento, così come le tariffe dell’elettricità e del gas, e i vari bonus non sono sufficienti a coprire i costi che le famiglie, soprattutto quelle urbane, devono affrontare.

E se poi queste persone desiderano giustamente un po’ di tempo libero, sanno che questo comporterà costi sempre maggiori: permettersi una pizza con la famiglia fuori casa incide notevolmente sul bilancio. La benzina per l’auto necessaria per recarsi al lavoro ha un costo e i lavori saltuari sono possibili solo se si dispone dei mezzi per spostarsi da un’occupazione parziale all’altra.

Qualsiasi aumento incide significativamente sui livelli di vita delle famiglie, dei dipendenti, dei pensionati e dei ceti popolari, e spesso mortifica il desiderio di godersi una vacanza estiva. Non c’è da meravigliarsi, quindi, se c’è molta insoddisfazione economica, quando affitto, benzina, generi alimentari, pizze e vacanze familiari sono tutti più costosi.

La stampa allineata, la cultura borghese e gli amici del potere economico e politico faticano a riconoscere che è in atto una contrazione degli stili di vita per le persone che vivono di salario e di pensione e spesso, di fronte all’emergere del fatto che la povertà sta abbandonando la sua dimensione marginale e si sta ampliando, incolpano i poveri di essere causa dei propri problemi. La Caritas ci ha avvertito che oggi la povertà è ai massimi storici e va intesa come un fenomeno strutturale del Paese. Una realtà che è presente anche nella nostra provincia e che vede anche il diffondersi del lavoro povero, precario e frammentato.

In questi giorni siamo turbati dalla drammatica crescita delle morti sul lavoro e dall’emergere di nuove forme di sfruttamento che ci riportano alle situazioni presenti all’inizio del processo di industrializzazione. La morte del lavoratore Satnam e le circostanze in cui è avvenuta ci riportano a situazioni che pensavamo superate e a una barbarie latente che si è insinuata nella nostra società e che è sempre pronta a esplodere, molte volte fondata e generata da una cultura della disuguaglianza e su una differenziazione ingiustificata tra ‘noi’ e ‘loro’.

È giusto e necessario che vengano potenziati i controlli, le ispezioni e le repressioni, ma soprattutto è essenziale che al lavoro, ad ogni lavoro, venga restituita la propria dignità e centralità che le logiche neoliberiste gli hanno sottratto per instaurare il dominio del massimo profitto e della ferrea legge della domanda e dell’offerta che ha mercificato il lavoro.

Dobbiamo tornare al dettato costituzionale che fonda la Repubblica intesa “Res pubblica “, cosa pubblica” e non sul proprio privato’, la “cosa pubblica” di cui il lavoro è elemento fondativo.

È sulla svalutazione e il degrado valoriale, sociale ed economico del lavoro che cresce la ‘crisi della democrazia’.

Se per chi ci governa la crisi democratica non esiste perché sono stati eletti e applicano un programma conforme alle proposte avanzate in campagna elettorale, dobbiamo prendere atto che stiamo vivendo la più grave crisi democratica degli ultimi 50 anni. Ci si rende conto che molti dei ragionamenti avanzati tendono a concentrare tutto su un primato decisionista della politica e a trascurare gli ‘organismi intermedi’, riducendo in particolare le organizzazioni sindacali a un mero elemento consultivo facoltativo.

L’Italia ha bisogno di incrementare la partecipazione democratica per evitare l’avanzare dell’autoritarismo decisionista che intravediamo nelle proposte politiche del premierato, che si presenta come ‘morbido’ ma che in realtà non lo è perché punta sul decisionismo del capo e della sua maggioranza.

Il superamento della crisi della democrazia non richiede solo adeguamenti istituzionali, ma un profondo, strutturale, culturale e radicale cambiamento dell’economia, dei suoi processi e dei suoi poteri e una visione politica “pro-labor”.

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