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La recensione

“The Animal Kingdom”, crescita “mutante” che passa dall’accettazione della natura di ognuno

In un futuro prossimo, misteriose mutazioni trasformano gli esseri umani in ibridi animali. Émile ha solo 16 anni e vorrebbe una vita normale: la scuola, le serate con gli amici, i primi amori. Ma d’un tratto si trova a fare i conti con alcuni inaspettati cambiamenti

Titolo: The Animal Kingdom

Titolo originale: Le Règne animali

Regia: Thomas Cailley

Paese di produzione / anno / durata: Francia / 2023 / 128 min.

Sceneggiatura: Thomas Cailley, Pauline Munier

Fotografia: David Cailley

Montaggio: Lilian Corbeille

Musiche: Andrea Laszlo De Simone

Suono: Fabrice Osinski, Raphael Sohier, Matthieu Fichet, Nicolas Becker, Niels Barletta

Cast: Romain Duris, Paul Kircher, Adèle Exarchopoulos, Tom Mercier, Billie Blain, Xavier Aubert, Saadia Bentaïeb, Gabriel Caballero, Iliana Khelifa, Paul Muguruza, Nathalie Richard, Louise Lehry, Jean Boronat, Nicolas Avinée

Produzione: Nord-Ouest Films, StudioCanal, France 2 Cinéma, Artémis Productions

Distribuzione: I Wonder Pictures

Programmazione: Capitol Bergamo, UCI Cinemas Orio, UCI Cinemas Curno, Starplex Romano di Lombardia, Arcadia Stezzano, Treviglio Anteo spazioCinema, Garden Clusone

La recensione

Un’umanità alle prese con la mutazione, raccontata tra fantasy e realismo con uno sguardo al cambiamento che spazia tra coming of age ed una rinnovata visione sul mondo. Umanità che subisce in vario modo la mutazione e deve decidere in che modo rapportarsi quella protagonista di “The Animal Kingdom”, il nuovo film di Thomas Cailley, al cinema dal 13 giugno.

Pellicola ambientata in un futuro distopico (ma con riferimenti ben ancorati al nostro presente), dove misteriose mutazioni trasformano gli esseri umani in ibridi animali. Protagonisti sono un padre, François (Romain Duris) ed il figlio adolescente Émile (Paul Kircher). Un rapporto complesso il loro, come tutti quelli genitore-figlio, che viene catapultato in un contesto nuovo quando, mentre i due discutono in auto, un uomo con un paio di grandi ali fugge da un’ambulanza. Un evento che non impressiona i protagonisti, facendo subito capire come le mutazioni siano presenti nella società ormai da tempo. I due si troveranno poi a muoversi verso il sud-ovest del territorio, per seguire la moglie e madre Lana, metamorfizzatasi in un’orsa, trasferita in una struttura specializzata per essere studiata e controllata. Un trasferimento non andato a buon fine, con il veicolo di trasporto che viene attaccato, permettendo alle creature al suo interno di scappare dentro una foresta. François ed Émile iniziano allora le ricerche di Lana, aiutati dall’agente di polizia Julia (Adèle Exarchopoulos), capace di mostrare umanità ed empatia verso creature mutate contro la loro volontà.

La propagazione dell’agente patogeno che provoca la mutazione porta inevitabilmente alla mente il periodo del Covid e le sue conseguenze, immergendo il film in un realismo che convive sempre in maniera equilibrata con altri elementi fantastici. François ed Émile si ritrovano infatti a rapportarsi, in vario modo, con altri animali antropomorfizzati, come l’uomo-uccello Fix o una donna-pesce. Mutazioni ben realizzate anche dal punto di vista tecnico, che mantengono una sorta di realismo nel film senza eccedere nel campo supereroistico o nel body horror, coniugando ambientazione fiabesca e contemporanea.

Cailley infatti, pur non tralasciando nulla della meccanica, anche dolorosa, della mutazione, riesce a far comprendere allo stesso tempo la sofferenza e lo spaesamento tutto umano di fronte ad una trasformazione in qualcosa di diverso. Un confronto con il diverso da sempre problematico, che la società non riesce mai a comprendere appieno e che tende quindi a ghettizzare, così come nel film avviene con gli umani che hanno subìto la metamorfosi. Il diverso visto come pericolo, la cui integrazione è inconcepibile, che si scontra con il desiderio e la fatica di convivere con un nuovo elemento che sembra sempre più predominante in ogni vita. Difficoltà che Cailley fa incarnare ad Émile, sul quale le mutazioni date dal morbo convivono con la fase di transizione dovuta all’età. Una transizione che presenta dolori e sofferenze, sia nel campo delle interazioni sociali (paradigmatica quella con il padre o con un nuovo amore) sia per quanto riguarda il fisico. Émile cerca di affrontare la sua progressiva mutazione, pur nel dolore della colonna vertebrale o nella crescita di artigli sotto le unghie: una trasformazione tenuta a bada con forza, per continuare ad essere accettato dalla comunità.

Quello di Cailley è uno sguardo verso un mondo che cambia, che cerca un nuovo inizio, ben consapevole però che lo stravolgimento dello status quo deve passare infatti da uno scontro con una società restia al cambiamento, nonostante sia essa stessa immersa in questa trasformazione. Un nuovo inizio che passa anche dall’accettazione della propria natura e da una rinnovata ricerca della libertà.

Uno sguardo nuovo rivolto ai rapporti, all’accettazione del diverso, ma anche nei confronti della Natura, mai veramente rispettata: una metafora ecologica, ideata dal regista prima del periodo pandemico, che riflette sull’umanità in rapporto a sé stessa, ma anche a ciò che la circonda.

Un paradosso allora che i sentimenti più umani si ritrovino nei rapporti con le creature mutate, all’interno di luoghi completamente naturali avvolti dalla magia di un incontro tra buio e luce che conforta, anziché spaventare. Effetto amplificato anche dalle splendide scene in notturna, dove si comprende appieno l’immedesimazione con gli animali antropomorfi, così come con gli struggenti primi piani dedicati in particolare a Lana, consapevole ma impotente verso la propria trasformazione.

Una situazione di lotta perenne verso un male esterno, che sottende però la necessità di comprensione ed immedesimazione verso l’altro, verso il diverso e, di riflesso, anche verso la propria natura. Perché (dal citato René Char) “ciò che viene al mondo per nulla turbare non merita né riguardi né pazienza”.

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