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La richiesta

Ucciso per una lite al semaforo: i legali di Belotti ricorrono in appello

L'imputato era stato condannato a 14 anni in primo grado. Gli avvocati puntano sulla legittima difesa: "La lite è stata innescata dal motociclista, che ha sferrato calci contro l'auto"

Montello. Nessun tentativo di speronamento, solo una manovra progressiva per cercare di far allontanare Walter Monguzzi dalla sua auto. Questo è il principale assunto sul quale si basa la richiesta d’appello presentata dai legali di Vittorio Belotti, condannato in primo grado a 14 anni di reclusione per l’omicidio volontario, aggravato dai futili motivi, del motociclista.

Monguzzi, agente di commercio di 55 anni, residente a Osio Sotto, morì il 30 ottobre 2022 in via Papa Giovanni a Montello, dopo una lite al semaforo con l’imputato, magazziniere di 50 anni. Secondo cinque testimoni oculari, una volta scattato il verde, l’automobilista cercò di speronare il centauro per due volte, mentre questo tentava di allontanare la vettura allungando una gamba. La terza sterzata fu quella decisiva: Monguzzi cadde a terra e venne investito da una Bmw che proveniva dal lato opposto della carreggiata. Belotti non si fermò a soccorrere il motociclista e proseguì la sua marcia verso casa. Venne però inseguito da un testimone che fotografò la targa della sua Panda e consegnò l’immagine ai carabinieri.

Gli avvocati Andrea Pezzotta e Nicola Stocco, lette le motivazioni della sentenza, hanno presentato istanza alla Corte d’appello di Brescia invocando anche in questa sede la legittima difesa o l’eccesso colposo di legittima difesa. Secondo i legali non è vero che, come ritenuto dal tribunale di Bergamo, la vittima “abbia tenuto un comportamento neutro. Tutti i testimoni riferiscono che Monguzzi, invece di sorpassare la Panda di Belotti, si è portato al suo fianco proseguendo nella lite verbale”. Per di più, continuano gli avvocati, la vittima era alla guida di una potente moto Bmw, sarebbe quindi bastata un’accelerata per lasciarsi la Panda e il diverbio alle spalle.

Ai tentativi del magazziniere di allontanare la moto con “manovre progressive”, l’agente di commercio avrebbe risposto “sferrando due calci nella fiancata dell’autovettura”. I testimoni descrivono la scena con il motociclista che solleva due volte la gamba: secondo la Corte la vittima l’avrebbe fatto per difendersi, per cercare di tenere a distanza la Panda (sulla carrozzeria dell’auto infatti non è stata trovata nessuna ammaccatura). I legali leggono invece questo comportamento come un tentativo di aggressione: “Belotti è stato costretto a subire e gestire la difficile situazione innescata dal motociclista”.

L’ultima sterzata sarebbe stata quindi un gesto istintivo dell’imputato per difendersi dalla terza pedata, secondo la difesa, mentre secondo il tribunale si sarebbe trattato di un gesto ragionato. Gli avvocati obiettano: “L’azione è stata così convulsa e rapida da non consentire al Belotti qualsiasi tipo di ragionamento”.

Monguzzi è morto perché è stato investito dalla Bmw. La caduta derivante dall’impatto con la Panda non sarebbe in sé stata fatale, secondo quanto dichiarato dal medico legale durante il processo di primo grado. Secondo i legali si tratterebbe quindi di omicidio preterintenzionale, dato che “qualora si volesse ritenere che il Belotti fosse animato dal proposito di ledere l’incolumità della persona offesa, non si può certo affermare che ne volesse la morte!”.

I difensori contestano anche l’aggravante dei futili motivi, ritendendo quello di Monguzzi un comportamento aggressivo dal quale Belotti si sarebbe solamente difeso.

Si attende ora la data dell’udienza di appello.

 

martina monguzzi
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