• Abbonati
Teatro

“L’angelo della Storia”: ricomporre le macerie della Storia e del paradosso grazie al teatro

Al Sociale ottima prova della compagnia Sotterraneo che mette in scena l’Umanità attraverso eventi paradossali che rivivono grazie alla ricombinazione di passato, presente e futuro

Bergamo. Una “drammaturgia di costellazioni svelate di aneddoti storici”, narrazioni recuperate, smontate e ricombinate, messe poi a confronto con il presente, in un’ideale mappa del paradosso. Prende spunto dalle teorie del filosofo Walter Benjamin e Yuval Noah Harari, “L’angelo della Storia”, spettacolo della compagnia teatrale Sotterraneo (Premio Ubu come miglior spettacolo del 2022), ideato e diretto da Sara BonaventuraClaudio Cirri e Daniele Villa andato in scena mercoledì 15 maggio al teatro Sociale, ultimo appuntamento della stagione teatrale del Donizetti.

Spettacolo che riprende da Benjamin la figura di un angelo che vola, con lo sguardo rivolto al passato e dando le spalle al futuro (come nell’acquerello “Angelus Novus” di Paul Klee): davanti ai suoi occhi si formano macerie di edifici ed ideologie e lui vorrebbe ricomporle, ma una tempesta gonfia le sue ali e lo trascina in avanti, impedendogli di intervenire. Una tempesta chiamata “progresso”, alla quale può forse porre rimedio il Sapiens, provando a ricomporre le macerie e volgendo il proprio sguardo in avanti.

Una visione, quella dell’Angelo, che il collettivo Sotterraneo (formato da Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati e Giulio Santolini) mette in scena attraverso uno spettacolo in cui passato, presente e futuro convivono, richiamati da una serie di eventi paradossali della storia dell’umanità.

Storia, con il suo scorrere, rappresentata dal grande schermo di luci al neon presente sul fondo della scena, che indica il susseguirsi temporale degli eventi, indicando l’anno in cui si svolge la scena. Di fronte a questo, solo due bauli utilizzati per contenere attrezzature tecniche.

Sulla scena, i cinque attori si superano nella composizione rigorosa del gesto e dei movimenti in sincrono, che sembrano quasi stonare (ma in realtà si incastrano perfettamente) con la diacronia del racconto. Precisione nella recitazione che si accompagna ad un rapporto diretto con il pubblico, preso quasi alla sprovvista alla richiesta di impostare il timer degli smartphone, esattamente a 53 minuti dal via dello spettacolo.

Una rottura delle regole dogmatiche del teatro, sminuzzato, rifondato attraverso comportamenti ritenuti inopportuni e poi ricomposto, così come la linearità di luogo e tempo del racconto. “Uscire dal racconto, significa quasi sempre morire”. Una morte quasi sempre richiamata, attraverso le macerie che si fanno quasi ologrammi nel racconto dello spettacolo. Grazie ad un’azione coreografica ed a tratti diacronica, il collettivo porta in scena una danza capace di formare “ologrammi verbali”, immagini in divenire, evocate in sincrono alla narrazione della sceneggiatura, attraverso azioni puntuali che diventano un unicum con la parola. Prendono forma così le vicende di Mad Mike (terrapiattista morto nel voler dimostrare le proprie idee bislacche), Eleonora di Castiglia (che dopo sedici parti dona al regno inglese un erede maschio, Edoardo II), i “piagati del ballo” isterico guidati da Troffea nella Strasburgo del 1518, il tecnico russo Stanislav Petrov, che deve decidere se attivare la bomba atomica, Carla Capponi che suona i Notturni di Chopin per coprire le voci dei partigiani, i soldati nazisti che devono abbellire il campo di concentramento di Auschwitz, il gatto Tommasino che eredita un patrimonio milionario, il soldato giapponese Shōichi Yokoi rimasto nella giungla per 28 anni senza sapere che la guerra fosse finita, Ippaso di Metaponto che mette in discussione le teorie pitagoriche, John Wayne indifferente alle conseguenze dei test nucleari vicini al set di “Il conquistatore”, i conigli fluorescenti creati con i geni di una medusa ad inizio millennio, Yukio Mishima che fece seppuku dopo aver occupato una base militare di Tokyo, la spedizione sovietica in Antartide del 1970 con una statua “leggermente migliorativa” di Lenin, l’orchestra del Titanic che suona mentre la nave affonda, le balene che nel 2018 attraversano una baia in Nuova Zelanda.

Se uscire dal racconto significa morire, gli esempi presi in considerazione muoiono però proprio perché rimangono fedeli al proprio racconto. Non resta ancora che cercare la vertigine, di un angelo che vola o di un astronauta che si allontana dalla Terra, cercando la verità. “Oggi che la complessità ci richiede immaginari inediti e nuovi processi cognitivi – spiega il collettivo – , ci piace pensare che a teatro si possano recuperare narrazioni e circostanze a cui Sapiens ha aderito nei millenni, smontarle, ricombinarle, prenderne distanza allontanandoci nel tempo e cercare almeno un po’ di quella vertigine che coglie un astronauta quando osserva la Terra allontanandosi nello spazio”.

Narrazioni ricombinate e rese contemporanee, che trovano senso compiuto nel racconto solo attraverso la riflessione di uomini che guardano l’Umanità di cui fanno parte, la deridono e se ne disperano allo stesso tempo. Un senso compiuto che si ritrova nel teatro, che sia attraverso una grande balena bianca o un paracadute giallo a raffigurare l’Angelo della Storia, indeciso se salvare Benjamin, al suono del timer degli smartphone.

Il teatro diventa allora una grotta dipinta, illuminata dalle fiamme come nel 10.000 a.C.: il racconto perenne in cui trova senso la realtà. I conigli fluorescenti occupano la realtà della scena, mentre ci si accorge che solo a teatro Stanislav Petrov può salvare l’umanità, di nuovo, anche nel 2024.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI