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All'olimpico

Ancora senza il trofeo, ma che spettacolo quel muro nerazzurro orgoglioso e fiero

Il ko sul campo non ha macchiato la prestazione sugli spalti dei tifosi atalantini: coreografia da applausi, un finale senza coppa ma con un significativo abbraccio alla squadra

Roma. L’immagine che meglio riassume lo spirito che ha accompagnato tutta la trasferta romana dei tifosi atalantini è quella vista al triplice fischio finale: un muro di sciarpe orgogliosamente alzate al cielo, tese come pennellate nerazzurre su tela, in attesa di tributare il doveroso grazie a una squadra che per la terza volta nelle ultime sei edizioni li ha portati a un passo dal sogno.

Non c’è stato un solo minuto, dei cento della finale di Coppa Italia, nel quale la Curva Nord dell’Olimpico ha smesso di cantare: nemmeno quando, al quarto di gioco, Vlahovic ha battuto Carnesecchi proprio sotto quel settore. Una doccia gelata dalla quale i tifosi per primi hanno provato a risollevare la squadra, stordita da un gancio in pieno volto all’inizio della contesa.

Non è bastata la loro spinta a far cambiare marcia all’Atalanta, apparsa più tesa e contratta rispetto alle ultime uscite. E forse sono stati i primi a capirlo, quando hanno alzato a comando il volume del sostegno, alle prime folate convinte dei ragazzi del Gasp che col passare dei minuti una buona dose di coraggio da quei cori se la sono presa.

All’Olimpico sono arrivati presto, come altrettanto presto hanno varcato i cancelli d’ingresso per prendere il proprio posto: colorati, rumorosi, convinti di poter finalmente portare a casa un trofeo che dopo il successo del ’63 non è mai sembrato così alla portata.

Difficile non arrivare a questa partita con un’immensa consapevolezza dei propri mezzi se nel giro di quattro giorni ti sei messo in saccoccia una finale di Europa League e una vittoria fondamentale nello scontro diretto contro la Roma, che ti proietta a soli tre punti da una nuova straordinaria qualificazione in Champions League.

Un entusiasmo che si è sentito nell’aria, perché la marcia di avvicinamento al fischio d’inizio è stata una vera e propria festa: pullman stracolmi, minivan, auto private, cortei a piedi per chi si è mosso in treno. Nel mezzo vere e proprie maglie-amuleto: Stromberg, Rustico, Ventola, qualcuno ha azzardato perfino un Tissone. Perché la scaramanzia in questi casi non va sottovalutata.

La coreografia che ha accolto la squadra in campo è stata un altro capolavoro: una Dea bianco candido che è comparsa dal nullo su uno sfondo nerazzurro, a rappresentare un popolo fiero che si è mosso in più di ventimila nella speranza dell’impresa.

Non è bastato, perché sul campo la Juventus è stata più scaltra, più pronta a capitalizzare le occasioni: ma quella fierezza, quel senso di appartenenza, non può essere scalfito da una sconfitta sportiva, anche se brucia maledettamente.

E allora al fischio finale squadra chiamata a rapporto sotto quella curva meravigliosa. Solo applausi: dai tifosi ai giocatori, dai giocatori ai tifosi. Se li meritano. Tutti.

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