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Valori nel mondo

La riflessione

Povertà e futuro: la qualità di vita infantile è un problema di tutti

L’Italia si sta rivelando sempre più come una società classista che finge di non esserlo, ma i dati sulla povertà parlano chiaro

Viviamo in un presente per molti versi indecifrabile e fosco che mentre ci obbliga a discutere i problemi più grandi e impellenti come la guerra, il clima, sembra condurci verso una sorta di oblio dei problemi umani che ci sono più vicini. C’è un problema di cui si parla poco o è messo ai margini e riguarda la povertà in generale e quella infantile in particolare. Ce ne dovremmo preoccupare con maggiore attenzione perché i bambini sono il futuro dell’Italia e del mondo. Eppure, in ogni discussione la questione è sempre posta ai margini e la si tratta vergognandosi.

L’Italia si sta rivelando sempre più come una società classista che finge di non esserlo, ma i dati sulla povertà parlano chiaro:

– Una persona che in Italia vive con meno di 630 euro al mese è considerata povera. Per una famiglia di quattro membri (padre, madre, 2 figli), questa cifra è di 1.700 euro. In totale, circa 1,96 milioni di famiglie e 5,57 milioni di individui vivo sotto la soglia di povertà;

– Nel 2021, l’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie era del 7,5%. La povertà colpisce in modo particolare le famiglie più numerose rispetto alle famiglie più piccole.;

– Coloro che vivono in “povertà assoluta” impossibilitati ad acquistare bene e servizi essenziali sono 5.75 milioni, pari al 9,8% della popolazione. Questa.

– Inoltre, occorre tenere presente che nel nostro paese esiste una persistente disuguaglianza di ricchezza che incide su tutte le altre forme di disuguaglianza, da quella sociale e politica a quella ecologica. Una condizione che ci obbliga ad andare oltre la semplice anche se importante disuguaglianza di reddito. In questo senso il reddito di cittadinanza, pur essendo utile non è in grado di affrontare la differenza di ricchezza che richiede di affrontare la questione in modo olistico. La disuguaglianza di ricchezza, non si riferisce solo al reddito, ma include anche beni come case, terreni, auto, investimenti, possesso di azioni, risparmi e qualsiasi altra cosa che abbia un valore economico.

Mi verrà fatto osservare che una certa quantità di ricchezza e povertà può essere inevitabile in qualsiasi società, ma livelli troppi alti di disuguaglianza possono risultare dannosi per l’economia, la politica e la società nel suo complesso.

Va anche tenuto presente che i redditi più bassi hanno oggi un potere d’acquisto inferiore rispetto a 20 anni fa, l’Italia che comunque rappresenta la settima economia mondiale non sta riuscendo ad abolire la povertà infantile: stiamo parlando di bambini che non vanno quasi mai in vacanza, vivono in appartamenti non sufficientemente riscaldati. Conoscono i giorni del pane e del riso, perché alla fine del mese non ce n’è abbastanza per di più.

Coloro che nascono in una famiglia povera hanno più di chiunque altro bisogno di istituzioni educative all’inizio della vita. Ciò che la famiglia non può fare da sola “l’asilo nido” può compensarlo in parte, ma solo se è adeguatamente finanziato.

Utilizzando il linguaggio degli affari possiamo dire che il ritorno sull’investimento, è più alto nella scuola materna che in altri settori sociali. Se garantiamo più asili, orari di apertura più lunghi e un’assistenza migliore, anche i genitori staranno meglio.

Non incrementare la costruzione e l’apertura di asili nido significa danneggiare le famiglie povere in diversi modi e le generazioni. A queste famiglie non interessano le grandi questioni politiche, a loro interessa ciò che la politica fa per rendere meno faticosa la vita e la cura dei figli, cioè come si interviene direttamente nelle loro vite quotidiane.

Le statistiche ci dicono che chi è più istruito guadagna meglio, si ammala meno e vive fino a dieci anni in più. Negli appartamenti con grave infestazione di muffa, rimangono solo coloro che non possono permettersi nient’altro. I prodotti biologici del supermercato sono comunque inaccessibili per alcuni. E non sto parlando solo della salute fisica ma anche di quella psichica e degli stress psicologici. La disoccupazione, la precarietà e l’eccessiva flessibilità sono un fattori che mettono sotto pressione lo stesso  sistema immunitario. Chi cresce povero è più malato e si sente anche più malato. Diversi medici di mia conoscenza mi hanno detto che i bambini provenienti da famiglie a rischio di povertà si rivolgono a loro più spesso di altri e hanno maggiori possibilità di soffrire malattie croniche.

La questione della qualità della vita infantile non è solo un problema dei genitori ma di tutta la società. Quello che investiamo sui bambini, sul loro benessere, sulla educazione, rende più di quello che ci si mette. Una buona istruzione rende più sani, protegge dalla disoccupazione e quindi fa risparmiare sulla spesa sociale. Da un punto di vista macroeconomico, la società recupera otto volte ogni euro investito in asili nido. Buoni asili, ottimi educatori e un ottimo rapporto di assistenza all’infanzia: questi sono gli strumenti per spezzare il ciclo della povertà.

In Italia, la spesa pubblica per l’istruzione è inferiore alla media dei Paesi dell’UE. Questa spesa comprende le strutture educative per la prima infanzia (0-2 anni), che sono uno degli ambiti di intervento del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Rispetto ai bambini residenti, la copertura di queste strutture è pari al 28%, ed è a inferiore al target europeo del 33% da raggiungere entro il 2010 e molto lontano dal nuovo target del 50% entro il 2030.

In conclusione, l’Italia ha una percentuale di spesa pubblica per i servizi all’infanzia inferiore rispetto alla media dell’UE. Ci sono inoltre significativi divari regionali all’interno del paese , che rischiano di essere aggravati con l’introduzione dell’autonomia differenziata.

La povertà nelle società ricche a cause precise e oggettive e non soggettive. Molte volte è la conseguenza di una politica sociale, dell’istruzione e del mercato del lavoro che non vuole combattere la povertà e che pertanto dimentica quella infantile.

Un’efficace riduzione della povertà è un dovere istituzionale e non individuale.

Le possibilità per far uscire dalla povertà i bambini e le loro famiglie ci sono tutte. Tre anni fa, la Commissione europea ha redatto la “Garanzia europea per l’infanzia”. Entro il 2030, tutti i paesi dell’UE devono garantire ai bambini l’accesso gratuito all’istruzione e all’assistenza sanitaria, nonché assicurare un’alimentazione sana e un alloggio adeguato. La povertà infantile va di pari passo con la povertà: i  bambini poveri hanno sempre genitori poveri.

Poiché i nostri sistemi sociali non sono a prova di povertà, la paura della povertà penetra nei ceti popolari di coloro che vivono di un lavoro economicamente dipendente e questa paura funziona e impatta sulle condizioni di lavoro, sull’impegno sociale e politico.

Per comprendere la situazione attuale e i timori che circolano nella società , è necessario individuare come questa si leghi a ciò che l’ha preceduta e perché  le persone hanno  a volte in modo inconscio paura di scivolare nella povertà, di ritrovarsi  in condizioni di lavoro scadenti o di salari insufficienti che generano adeguamenti alla situazione negativa come il lavoro povero  e il rischio del lavoro rischioso. In certe situazioni  di vita e di bisogno diventa difficile che si dica: No, grazie, non lavoro in queste condizioni.

Pertanto, se vogliamo una società migliore bisogna combattere la povertà infantile, non dobbiamo tacere sulla povertà e sulla sua funzione nel capitalismo. Se vogliamo fare in modo che non ci siano più bambini poveri, dobbiamo sconfiggere la povertà nel suo complesso.

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