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La recensione

“Challengers”, il tennis come triangolo di seduzione e predominio

Amicizia, amore e rivalità sul campo da gioco. Il nuovo film di Luca Guadagnino al cinema dal 24 aprile

Titolo: Challengers

Titolo originale: Challengers

Regia: Luca Guadagnino

Paese di produzione/ anno/durata: Stati Uniti / 2024/ 131 min.

Sceneggiatura: Justin Kuritzkes

Fotografia: Sayombhu Mukdeeprom

Montaggio: Marco Costa

Musica: Trent Reznor, Atticus Ross

Cast: Zendaya, Mike Faist, Josh O’Connor, Darnell Appling, Bryan Doo, Shane T Harris, Nada Despotovich, Joan Mcshane, Chris Fowler, Mary Joe Fernandez, A.J. Lister

Produzione: Metro-Goldwyn-Mayer (MGM), Pascal Pictures

Distribuzione: Warner Bros Italia

Programmazione: Conca Verde Bergamo, Nuovo di Albino, UCI Cinemas Orio, UCI Cinemas Curno, Garden Clusone, Iride-Vega Costa Volpino, Cinema Teatro Centrale Leffe, Arcadia Stezzano, Starplex Romano di Lombardia, Treviglio Anteo spazioCinema

La recensione

Il tennis come gioco del predominio e della seduzione, terreno di gioco di un amore esposto e nascosto, cuore di una narrazione in tre set di crescita di tre perdenti. Tennis e relazioni sono il centro di “Challengers”, il nuovo film di Luca Guadagnino, al cinema dal 24 aprile.

Amici dall’età di dodici anni, il biondo Art Donaldson (Mike Faist) ed il moro Patrick Zweig (Josh O’Connor), si conoscono sui campi da tennis ed entrambi hanno il desiderio di giocare tra i professionisti. Una competizione che li porta a migliorarsi a vicenda, che si trasforma in altro quando, sul campo da gioco, arriva Tashi Duncan (Zendaya), la giocatrice più talentuosa della loro generazione: entrambi concorreranno per avere le sue attenzioni.

Anni dopo, Art, diventato una stella del tennis, incontra di nuovo Patrick ad un challenger (torneo internazionale di seconda categoria), entrambi con motivazioni differenti. Art vuole rilanciarsi dopo un periodo negativo, mentre Patrick cerca la vittoria per la sola sopravvivenza, dormendo in auto, non essendo mai riuscito a sfondare nel professionismo. In questi anni, dopo un grave infortunio ad un ginocchio, Tashi lascia il tennis giocato, diventando manager e moglie di Art, dopo essere stata fidanzata di Patrick. Quando i due si incontrano di nuovo, porteranno sul campo da tennis i loro fallimenti e le loro disillusioni, in una sfida che significa rilancio per l’uno e baratro per l’altro, sia sportivo che sentimentale.

Guadagnino, dopo l’amore impossibile di “Chiamami col tuo nome” e l’amore malato e “cannibale” di “Bones and All”, continua a riflettere sulle varie sfaccettature di questo sentimento, questa volta declinato attraverso la dinamica del potere. “Chi non sarebbe innamorato di Tashi Duncan”, della sua bellezza e della sua determinazione, del suo desiderio viscerale di dominio, della sua metamorfosi che non coinvolge mai la propria sete di superiorità? L’espressività essenziale ma incisiva di Zendaya rende più il carisma della protagonista fuori dai campi da gioco che non le urla di dolore e frustrazione che fa sentire con la racchetta in mano.

Zendaya-Tashi, da sportiva prima e da manager poi, tiene le redini della vita di Art, così come farà, in seguito, con Patrick. Apparentemente impassibile tra il pubblico, osserva le mosse dei due, sia con la racchetta che al di fuori, allenatrice e giudice ultimo di un rapporto a tre del quale è ideale centro di gravità.

Un rapporto che passa per la pallina da tennis, uno sport solitario che Guadagnino riesce con abilità a trasformare nella metafora di un rapporto di forza a tre. Rapporto che è dominio, anche nelle scene più intime, dove le pulsioni vengono azzerate per insinuarsi e poi esplodere al di fuori della sfera privata.

Se un possibile confronto omosessuale è solo accennato o comunque sottolineato da allusioni ironiche, le pulsioni carnali si manifestano sul campo. Il tutto sottolineato dall’elettronica del genio musicale Trent Reznor e del collega Atticus Ross, che trasforma il silenzio abituale dei match di tennis, tramutandoli in una sorta di danza. La musica rimane in un gioco di sincronia con i battiti del cuore, che enfatizzano le pulsioni dei singoli, giunte a compimento attraverso le relazioni.

Relazioni che, in parallelo al match di tennis, diventano il punto focale per Guadagnino, cambiamenti nei rapporti di forza sottolineati anche dal marketing esplicito, modificato nel corso della narrazione, che allude anch’esso alla vita dei tre protagonisti.

Guadagnino descrive questo ennesimo racconto di formazione “a rovescio” descrivendo la parabola di tre “challengers” sconfitti, ciascuno a suo modo. Sconfitta sia all’esterno che all’interno del rettangolo di gioco, tratteggiata da una macchina da presa che rende carnalità e fatiche dei protagonisti, con un tennis fisico metafora delle relazioni. Primissimi piani (sulle gocce di sudore o sulle palline), riprese dal basso, inclinate, soggettive (iconica quella della pallina sul finale), frontali: la precisione geometrica si accompagna a molteplici punti di vista, come diversi volti di relazioni che dovrebbero rivelare altro rispetto a ciò che mostrano.

Dimensione sportiva coniugata alla vita, ad un tempo che è uno dei protagonisti di “Challengers”. Il tempo si muove in un iperrealismo come quello spaziale, tra istantanee e ralenti che ne dilatano lo scorrere normale.

Un tempo segnato dalle ellissi temporali, con una timeline non lineare che si intreccia come si intrecciano le storie dei protagonisti. Un tempo scandito da Tashi, ragazza-giocatrice-allenatrice, dalla quale dipendono presente e futuro dei coprotagonisti maschili.

Nei tre set che ricordano l’aristotelica struttura in tre atti, il passato sfida il presente, un percorso di crescita e cambiamento che sembra avvolgersi su sé stesso, la giovinezza che diventa maturità senza mai sfuggire via completamente.

Se l’intensità e la durata di uno scambio tra tennisti si fanno metafora delle relazioni, l’alternanza dei piani narrativi può confondere lo spettatore, portandolo però al cuore della questione. La seduzione e l’amore non trovano mai un “match point” ed anche un semplice gesto con la racchetta apre un varco spazio-temporale dove i significati si mescolano, senza avere un referente delineato.

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