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I grandi della storia

I grandi della storia

Paolo Diacono, lo straordinario cantore dell’epopea longobarda

Egli mise mano alla sua monumentale ricostruzione delle vicende del suo popolo, dall’inizio della migrazione, fino al regno di Liutprando, quando, ormai, il regno dei Longobardi non esisteva più

Quando, nel 568 dell’Era Volgare, si affacciarono sul Friuli le avanguardie di un popolo destinato a lasciare una traccia fondamentale nella storia dell’Italia, accanto al re, che si chiamava Alboino, c’era un nobile guerriero, Leupchis, un discendente del quale avrebbe brillato in tutt’altro campo: Paolo Diacono, lo straordinario cantore dell’epopea longobarda.

Grazie alla sua Historia Langobardorum, infatti, oggi noi possiamo ricostruire tanti particolari del periodo in cui quei nostri lontani antenati, partiti dalla Scandinavia per conquistarsi un posto nella storia italiana, gettarono le basi di un dominio che sopravvive ancora in tanti nomi a noi familiari: dalla Fara a Martinengo, fino al toponimo Lombardia, che altro non significava che “la terra dei Longobardi”.

Paolo, come molti intellettuali del passato, visse in un periodo di crisi e di declino del proprio mondo: scrisse la sua opera fondamentale a Montecassino, quando, ormai, l’ultimo re longobardo, Desiderio, era stato deposto da Carlo Magno da una ventina d’anni, nel 774. Egli, dunque, mise mano alla sua monumentale ricostruzione delle vicende del suo popolo, dall’inizio della migrazione, fino al regno di Liutprando, quando, ormai, il regno dei Longobardi non esisteva più: forse, proprio per questo, il racconto di Paolo si interrompe con l’ultimo grande sovrano, che accarezzò il sogno di farsi “Rex totius Italiae” e non prosegue oltre il 744, anno della morte di Liutprando, per non dover narrare gli anni del declino e del tracollo.

Vi è, nella storia di Paolo Diacono, un sottofondo di malinconia e rimpianto per un’epoca lontana e gloriosa, che la rende straordinariamente viva ed attuale: chi, meglio di noi, può percepire la nostalgia per un mondo migliore e perduto? In realtà, fu proprio la caduta di Desiderio, che è poi il Desiderio della tragedia manzoniana “Adelchi”, dedicata allo sfortunato figlio di quell’ultimo re, a determinare la scelta dello scrittore di ritirarsi tra le mura dell’abbazia benedettina, dopo essere stato un apprezzato studioso di corte, tanto sotto Astolfo quanto sotto il suo successore, Desiderio, fino a divenire precettore della sorella stessa di Adelchi.

Dopo quel fatidico 774, egli abbandonò gli studi mondani e scelse Montecassino, anche se, per la verità, non sappiamo se lo fece da laico o da chierico: per certo, la sua fama doveva essere notevole se, poco tempo dopo, venne addirittura assunto al servizio di Carlo Magno, che gli affidò, intorno alla metà degli anni Ottanta dell’ottavo secolo, svariati incarichi. Paolo Diacono, nella sua epoca, era noto soprattutto come maestro di grammatica e di filologia: conosceva il greco e contribuì, da parte sua, a quel vasto fenomeno di rinascita culturale che proprio da Carlo Magno prese il nome.

Nel 787, dopo la liberazione di suo fratello Arachis, prigioniero dei Franchi da oltre dieci anni, Paolo decise di tornare alla tranquilla Montecassino, questa volta aderendo sicuramente all’ordine di San Benedetto. Lì trascorse l’ultima parte della sua vita, scrivendo e pregando. Nei primi due anni scrisse appunto la sua opera più celebre: quei sei libri della Historia Langobardorum che gli avrebbero dato la fama. Ma molto altro egli aveva già scritto, a partire da un Historia Romana, che arrivava fino all’epoca giustinianea e di cui il suo gran libro era una sorta di seguito, quasi a volerci dire che il dominio longobardo era, in fondo, voluto da Dio, per proseguire l’opera romana. E, d’altronde, questo modello, secondo cui i nuovi sovrani germanici erano eredi dell’Imperium dei sovrani romani fu duro a morire, per tutto il Medioevo, tanto che, sulla cosiddetta corona di Ottone, si legge ben chiara la scritta “Rex Romanorum”. Il necrologio di Cassino ci permette di conoscere con precisione la data della sua morte: il 13 aprile dell’899.

Pochi mesi prima dell’incoronazione imperiale di colui che aveva abbattuto il regno longobardo. Un’ultima curiosità: la nostra notazione musicale, opera di Guido d’Arezzo, che la stabilì nell’XI secolo, si basa sulle sillabe iniziali degli emistichi di un inno a San Giovanni Battista, scritto proprio da Paolo Diacono: ut, re, mi, fa. Eccetera, eccetera. Erano solo sei: il SI sarebbe stato aggiungo solo alla fine del XVI secolo dallo Zacconi. Ma questo, ovviamente, nulla toglie alla grandezza del nostro longobardo.

marco cimmino

 

* Marco Cimmino è uno storico bergamasco, classe 1960. Specializzato nello studio della guerra moderna, fa parte della Società Italiana di Storia Militare. Ha all’attivo numerosi saggi storici, prevalentemente sulla Grande Guerra e collabora con diverse testate, nazionali e locali. Per Bergamonews ha curato, in precedenza, una storia a puntate della prima guerra mondiale e una storia dell’Unione Europea.

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