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L'intervista

I dolori, la diagnosi, la consapevolezza: Martina e la convivenza con l’endometriosi

È una malattia cronica in cui il tessuto simil-endometriale cresce all’esterno dell’utero: ciò porta all’infiammazione e alla formazione di tessuto cicatriziale nella regione pelvica e in altre parti del corpo

Marzo è stato il mese sulla consapevolezza dell’endometriosi, una condizione che colpisce circa il 10% (190 milioni) di donne e ragazze in età riproduttiva in tutto il mondo. È una malattia cronica in cui il tessuto simil-endometriale cresce all’esterno dell’utero: ciò porta all’infiammazione e alla formazione di tessuto cicatriziale nella regione pelvica e in altre parti del corpo. E’ associata a dolore grave durante il ciclo mestruale, i rapporti sessuali, i movimenti intestinali e/o la minzione: può comportare dolore pelvico cronico, gonfiore addominale, nausea, affaticamento e talvolta depressione, ansia e infertilità. Attualmente non esiste una cura conosciuta per l’endometriosi e il trattamento è solitamente mirato a controllare i sintomi. Questa patologia può iniziare al primo periodo mestruale di una persona e durare fino alla menopausa. Secondo l’American Society for Reproductive Medicine, l’endometriosi può essere classificata in grado I (minima), II (lieve), III (moderata), o IV (grave), in base a numero, posizione e profondità degli impianti e/ o presenza di endometriomi e adesioni sottili o dense.

La causa dell’endometriosi è sconosciuta: non esiste un modo noto per prevenire questa condizione e non esiste una cura, ma i suoi sintomi possono essere trattati con farmaci o, in alcuni casi, con un intervento chirurgico. La stadiazione dell’endometriosi aiuta il medico ad impostare un piano terapeutico e a valutare la risposta alla terapia. Ogni esperienza del paziente è soggettiva, quindi i percorsi sono personalizzati e studiati ad hoc per le esigenze di ciascuno.

Il 28 marzo scorso, in occasione giornata mondiale dell’Endometriosi, Martina Agazzi ci ha raccontato la sua esperienza con questa patologia.

Ricordi una delle prime volte in cui hai avuto dolore? Come è stato?

Ero molto piccola, ho avuto il menarca alle elementari. Già dalle prime mestruazioni stavo malissimo, e questo dolore mi accompagnava sempre, anche durante il periodo dell’ovulazione. Sin da subito ho sentito la necessità di domandarmi il perché, ma da bambina non lo comprendevo del tutto. L’unica persona con cui ne parlavo era mia mamma, lei è sempre stata un supporto per me. Insieme iniziammo un percorso lunghissimo di consapevolezza, fino ad arrivare alla prima diagnosi nel Marzo 2021.

Come è arrivata la diagnosi? E’ cambiato qualcosa dopo la diagnosi, se sì, cosa?

La diagnosi è arrivata dopo che ho scoperto che esistono dei centri appositi riguardanti l’endometriosi, perché purtroppo non tutti i ginecologi sono specializzati nel diagnosticarla. Quando ero piccola potevo affidarmi solo al medico di famiglia, che però non riusciva a dare una spiegazione al dolore che sentivo, purtroppo. La prima visita ginecologica la ho avuta a 18 anni, e più mi informavo, più sapevo, dentro di me, che la diagnosi sarebbe arrivata. Da quel momento è cambiato tutto: è stato liberatorio, perché avevo dato un nome a ciò che sentivo (e sento ancora) da anni, c’è stato un ritardo diagnostico di più di dieci anni. Poi, avendo iniziato la terapia ormonale, è stato uno stravolgimento ulteriore, perché tutta la sintomatologia che avevo prima è addirittura aumentata: più dolore, più intenso. E’ stato un po’ come girare il dito nella piaga, purtroppo. Poi a lungo andare la situazione è leggermente migliorata, ma per tanto tempo sono stata afflitta.

Hai accennato a quanto tua mamma sia stata una figura fondamentale nel tuo percorso di consapevolezza. Come ti ha aiutato? Ricevuta la diagnosi, invece, hai avuto modo di confrontarti con altre persone nella tua stessa situazione?

La mia mamma è stata l’unica persona che mi ha sempre accompagnato alle visite e con cui ho condiviso come mi sentissi veramente: nonostante inizialmente credesse che il ciclo mestruale fosse per natura doloroso, si è ricreduta. Per tanto tempo ha pensato che crescendo sarebbe passato, ma vedendo che così non era, e che ogni mese era sempre peggio, ha deciso di iniziare con me il percorso che poi ha portato alla diagnosi. Una volta consapevole, mi sono addentrata nel mondo delle malattie croniche e/o invisibili online e mi sono confrontata tanto con altre persone che come me condividevano situazioni simili, anche se in modi totalmente diversi: ovviamente una diagnosi non si manifesta sempre allo stesso modo, ed è stato anche illuminante comprenderlo a fondo, non è scontato.

In uno stadio avanzato, l’endometriosi potrebbe richiedere un intervento chirurgico tramite laparoscopia. Qual è stata la tua esperienza?

Ho subito l’intervento esattamente un anno dopo la prima diagnosi, nel Marzo 2022. Nel lasso di tempo tra la diagnosi e l’operazione sono successe diverse cose, nel Settembre 2021 ho subito una rivalutazione della diagnosi stessa visto che la situazione era troppo grave per essere gestita solo con la terapia ormonale: sono stata subito messa in lista per l’intervento, che ho subito a distanza di sei mesi. E’ stato molto difficile affrontare questo periodo di attesa, avevo un’ aspettativa altissima e mi aggrappavo gelosamente all’idea che dopo l’operazione sarei stata meglio. Così purtroppo non è stato, perché dopo un mese in cui la situazione sembrava migliorata, i dolori e le fatiche sono tornate. Non nascondo che sia demoralizzante, è davvero difficile. Adesso sto facendo delle analisi approfondite non solo a livello di endometriosi, ma anche di pavimento pelvico, e stiamo cercando di capire quando, se e come avviarmi verso il prossimo intervento, il secondo.

Hai accennato allo stretto rapporto che senti tra dolore cronico e salute mentale. Come si influenzano, secondo la tua esperienza, l’una con l’altra?

Sono l’una profondamente legata all’altra: penso di parlare a nome di molte malate croniche (non solo di endometriosi) quando dico che, durante una giornata, si fa fatica a fare le cose che le altre persone fanno ad occhi chiusi, ci si chiede il perché di tutta la sofferenza che ogni giorno si vive. Nel periodo vicino al primo intervento il dolore era arrivato alle stelle: l’unica cosa che riuscivo a fare era stare piegata nel letto e cercare di trovare una posizione che fosse comoda. Anche solo andare in bagno a fare la pipì era un’agonia. Anche oggi, mi ritrovo ad avere giorni più “sereni”, ed altri in cui il corpo non collabora: può essere difficile accettare questa parte di te, vorresti fare molte cose, ma non riesci. Dopo la diagnosi mi era stato consigliato di affiancarmi a uno psicologo, che è stata (ed è ancora) un’esperienza estremamente positiva. Mi ha aiutato tanto, sono riuscita a trovare un modo per affrontare le giornate senza farmi sovrastare dalla fatica e dal dolore, che a volte sono davvero pesanti.

Quanta preparazione c’è effettivamente su questa malattia tra le figure professionali?

Grazie all’esplosione mediatica che c’è stata negli ultimi anni, c’è una consapevolezza diversa sull’endometriosi. Se penso anche solo a sei o sette anni fa, posso dire per esperienza personale che succedeva spesso che andavo dal ginecologo e mi chiedesse di cosa stessi parlando quando chiedevo se esistessero esami specifici per la diagnosi. Quando poi nel Settembre 2021 la mia diagnosi è stata completamente rivalutata ho avuto un’ulteriore conferma che purtroppo in Italia i centri veramente specializzati sono pochi sulle malattie croniche, purtroppo.

Sei una studentessa universitaria. Come riesci a conciliare studio e dolore?

Non è facile. Da un lato me la sono cavata, perché ho iniziato l’università quando è esploso il covid, poter frequentare le lezioni e dare gli esami da casa era un grande aiuto perché potevo gestirmi il mio tempo e il mio spazio. Quando sono ricominciate le lezioni e gli esami in presenza è stato un po’ più difficile. Io frequento l’università di Bergamo in Sant’Agostino, quindi inizialmente mi imponevo, come sfida personale, di riuscire a presenziare fisicamente: il mio obiettivo della giornata era quello di prendere la macchina andare a Bergamo, parcheggiare in centro e salire a piedi fino alla sede. A lungo andare, però, è diventato molto faticoso, anche perché i dolori erano peggiorati; di conseguenza andavo saltuariamente. In più ho una situazione familiare per cui io, oltre ad essere studentessa, sono anche caregiver: fino a un anno e mezzo fa assistevo mia mamma, che era una persona invalida e aveva bisogno di assistenza h 24, poi lei è venuta a mancare e sono rimasta ad assistere il suo compagno, anche lui invalido grave. Fino a un mese fa lavoravo anche, ma ho dovuto rinunciare perché i ritmi erano davvero insostenibili. Adesso sto cercando di rimettermi in corsa con lo studio, ma sono cosciente del fatto che al momento la mia vita è un tetris! Riuscire a incastrare studio, corpo e impegni sociali è difficile, perché la malattia non si ferma mai: se il tuo corpo ti dice “no” la tua testa può dire sì quante volte vuoi ma se il tuo corpo non c’è la fa è inutile insistere.

Quindi è cambiato il tuo modo di relazionarti con gli altri a causa della malattia?

Nella mia vita ho conosciuto tante persone: qualcuna è ancora al mio fianco, qualcuna no. Mi è capitato di perdere diverse amicizie perché i miei ritmi di vita sono diversi da quelli di una persona che non vive una malattia cronica: “Ma tu non esci mai?”, “Cancelli sempre all’ultimo minuto” o “Non ho voglia di continuare il nostro rapporto perché non riusciamo mai a fare delle attività (o vacanze) insieme” sono state frasi all’ordine del giorno, purtroppo. Di conseguenza, nel tempo ho cambiato il mio modo di approcciarmi alle persone: ho capito che se una persona ti vuole bene e vuole far parte della tua vita, accetta anche questo lato di te, il tuo essere in difficoltà. Chi ti ama, non ti giudica e non ti colpevolizza, ti arricchisce e sa apprezzarti nella tua completezza: ci sono persone che, non vivendo in prima persona la malattia, semplicemente non lo capiscono. A volte ti arrabbi un sacco, ma poi te ne fai una ragione; su questo aspetto la terapia psicologica è stata fondamentale, mi ha aiutato molto poterne parlare con un professionista.

Come hai raccontato anche tu, negli ultimi anni si è acquisita una maggiore consapevolezza sull’endometriosi e sulle malattie croniche in generale. Credi che ciò sia stato possibile grazie anche all’esperienza di influencer come Giorgia Soleri?

Sì, assolutamente! Ma oltre a lei ci sono tantissime altre divulgatrici che si impegnano ogni giorno a raccontare le malattie croniche. Per quanto riguarda la mia esperienza personale, anche io sono stata una paziente che ha divulgato online la sua esperienza per cercare un confronto con altre persone che vivessero situazioni simili alla mia, per non sentirmi sola. A lungo andare, purtroppo non ho trovato la forza di continuare, perché se da una parte sentivo che attraverso questo mezzo potessi veramente avere un supporto, dall’altra, in diverse situazioni, ho trovato un clima escludente e giudicante, sia da parte di chi queste malattie non le conosce, che verso chi, pur avendole, predilige farsi la guerra fra sintomi, pensieri e stili di vita diversi.
Ho semplicemente capito che, per il momento, non faceva per me: ho comunque conosciuto persone meravigliose nel percorso, ma ho preferito tutelare la mia salute mentale. Ad oggi, comunque, non cambia il profondo rispetto che provo verso chi decide di scegliere di mettersi a nudo e raccontare anche questa parte di sé aiutando il più possibile, senza innalzarsi a “paladini” della malattia ma piuttosto creando una comunità di ascolto e comprensione.

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