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L'intervista

Atalanta, Simone Panada: “A Liverpool la mia prima convocazione, un’emozione unica. E quella maglia numero 43…”

Perno dell'Under-23 di Modesto che ha appena centrato i playoff in Serie C, il centrocampista classe 2002 ricorda la serata di Anfield: "Fu una chiamata improvvisa. A un certo punto Gasperini mi disse di scaldarmi, mi si chiuse lo stomaco"

25 novembre 2020: una data storica per l'Atalanta. Una delle tante imprese nerazzurre dell'era gasperiniana, ma con un sapore diverso dalle altre. Perché rifilare uno 0-2 al Liverpool ad Anfield è roba per pochi. Si potrebbe dire che i Reds erano a mezzo servizio, già con il primo posto in tasca e quindi con meno motivazioni. Non per questo però i gol di Ilicic e Gosens hanno meno valore storico.

Sapore diverso, dicevamo. Per forza: quel giorno Anfield era vuoto, senza nemmeno uno spettatore presente sugli spalti. Restrizioni del periodo pandemico, oggi fortunatamente solo un lontano ricordo. Quel giorno nei ventitré che entrarono nella distinta c'erano anche dei giovani del settore giovanile: Matteo Ruggeri, che era già entrato nel giro dei pro, Giorgio Scalvini e Simone Panada.

“Il mio ricordo più bello” sostiene il centrocampista, classe 2002, ricordando quella che è stata la sua prima convocazione in assoluto con la maglia che ha vestito da quando aveva 7 anni. Bresciano di nascita, ormai bergamasco d’azione, atalantino a tutti gli effetti. Oggi è un cardine dell’Under-23 che ha appena centrato i playoff: ha capitanato la Primavera, trascorso l’ultimo anno e mezzo tra Modena e Sampdoria senza collezionare molti minuti.

Tornato alla base, Modesto gli ha dato le chiavi della squadra, ottenendo grandissime risposte. Che lo possono riportare, chissà, anche nuovamente nell’orbita della prima squadra.

“Anfield? Me lo ricordo come se fosse ieri” afferma, “stavamo facendo una riunione tecnica con la Primavera, un paio di giorni prima della partita contro il Liverpool. A un certo punto mister Brambilla si è interrotto, è stato avvisato di qualcosa, poi ha chiamato me e Scalvini. Ci ha detto che dovevamo andare subito con la prima squadra. È stato bello, ma anche inaspettato. Noi inizialmente pensavamo solo di andare a fare numero per gli allenamenti, invece siamo andati tutti e due in Inghilterra. Ci hanno detto ’preparate le cose, perché venite con noi a Liverpool’”.

Cosa vi disse Gasperini?

“Ci ha trattato come giocatori da prima squadra a tutti gli effetti, dandoci consigli per gli allenamenti”.

Era il periodo in cui gli stadi erano stati svuotati a causa della pandemia. Che effetto fece?

“Sarebbe stato meglio entrare nel casino, ma ci siamo accontentati (ride, ndr). È stata la cosa più bella che mi sia successa in questi anni di carriera, era qualcosa di magnifico: il campo, lo stadio in sé, vedere da vicino giocatori che prima ammiravo solo in tv o che prendevo alla PlayStation. Un’emozione veramente bellissima. E abbiamo anche portato a casa una vittoria”.

Come l’ha vissuta, quella partita?

“In panchina me la sono davvero goduta. A un certo punto Gasperini mi ha detto ‘vai a scaldarti’, lì mi è venuto una specie di blocco allo stomaco. Poi mentre stavo spogliandomi Gosens si è girato verso di me e mi ha detto che in realtà erano già finiti gli slot per fare le sostituzioni. Così mi sono rimesso il giubbotto e mi sono seduto. Ma non cambia nulla: è stato lo stesso emozionante”.

Sul suo profilo Instagram c’è ancora la foto di quella maglia con il numero 43 con la patch della Champions League: dove si trova ora?

“Appesa in camera, è l’unica rimasta. Ed è intoccabile. Rimane lì e non si muove: quelle delle altre partite le ho regalate ai miei nonni, che sono nati nel 1943, e ai parenti. Quella di Anfield però non si tocca. E pensare che il 43 mi è capitato per caso: mi è andata bene”.

 

 

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Parlando di cose ‘andate bene’: domenica battendo 4-1 la Pro Patria avete centrato i playoff.

“Meglio di così non si potevano raggiungere: l’unica macchia è stato quel gol preso, ma d’altronde la perfezione non esiste”.

Si è unito alla squadra a inizio febbraio, di ritorno dal prestito alla Sampdoria, ma si è già integrato benissimo: è un insostituibile.

“Già a dicembre avevo manifestato la mia volontà di tornare alla base. Poi il mercato di gennaio è molto frenetico, ma alla fine ci siamo riusciti. È stato molto facile perché il ritiro l’avevo iniziato con questo gruppo, in più con molti di loro ho condiviso campo e spogliatoio in primavera o nelle giovanili. A parte i più giovani, come Palestra o Mendicino, ho praticamente giocato con tutti. È come se non fossi mai andato via. Le partite comunque le guardavo tutte anche mentre ero lontano, perché ho tanti amici qui. Quindi andavo già incontro a cose che mi aspettavo”.

C’è dispiacere per come è andata con la Sampdoria?

“Sicuramente le aspettative erano altre, a Modena la stagione precedente avevo iniziato bene, poi non ho più giocato. Avevo voglia di scendere in campo e di dimostrare, ma non è andata così. Era una società in ristrutturazione, con una proprietà nuova, abbiamo avuto un inizio difficile come risultati e anche prestazioni. Però devo dire che questi due mesi all’Atalanta mi ha fatto passare ogni delusione”.

Com’è stato essere allenati da Pirlo?

“Fa effetto. Il primo giorno che l’ho incontrato è stato davvero strano, c’era un po’ di timidezza anche, non sapevo proprio cosa dire. È stata una leggenda in campo. Come allenatore e come persona rispettava molto noi giocatori, avendo toccato grandi livelli”.

Che realtà è quella dell’Under-23, vista dall’interno?

“Qualcosa di bellissimo: siamo tutti ragazzi molto giovani, a parte qualcuno che magari ha più esperienza, cosa che serve sia fuori che dentro al campo. La nostra forza è questa: la spensieratezza, essere senza pressioni, perché andiamo in campo per giocare, divertirci e i risultati si sono visti. E poi siamo a casa, perché siamo quasi tutti cresciuti qui, ma anche chi è arrivato da fuori si è adattato subito. L’organizzazione a Zingonia continua a svilupparsi. Facciamo gruppo, facciamo colazione e pranzo tutti insieme”.

 

 

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Il lavoro di mister Modesto sul gruppo è stato notevole.

“Dandomi indicazioni tattiche precise e mirate mi ha dato una grande mano. Ho un rapporto speciale con lui, perché mi apprezza come giocatore e me lo dimostra: parliamo sempre, sento tanto la sua fiducia. Mi ha aiutato tanto mentalmente a uscire da un anno e mezzo in cui ho giocato poco, dandomi in mano le chiavi della squadra”.

Obiettivo playoff centrato, se di obiettivo si può parlare. E ora?

“Adesso sta a noi. Questa squadra ha sorpreso un po’ tutti, noi compresi. Sapevamo di avere delle qualità, ma non era scontato fare così bene. L’obiettivo ora è finire bene queste tre partite e piazzarci il meglio possibile, poi vedremo di giocarci ogni partita al massimo. Non guardiamo troppo in là, partita dopo partita”.

Nel futuro di Panada invece cosa c’è?

“Ora vedo solo l’Under-23, perché vogliamo finire bene il girone di ritorno e poi pensiamo ai playoff. Guardo al futuro senza fretta, non mi pongo obiettivi: vivo giorno per giorno. Poi per quello che verrà ci penserò. A questa realtà devo molto: offre un percorso di crescita per ragazzi giovani. Io non trovavo spazio, qui invece ho avuto la possibilità di mettermi in mostra. E sono a casa mia”.

Sognando altri Anfield.

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