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La sentenza

Morì nel rogo in Psichiatria: assolti i due addetti della squadra antincendio

Il giudice ha rinviato gli atti alla procura per valutare se procedere nei confronti dell'Asst Papa Giovanni e del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione

Bergamo. I due addetti della squadra antincendio della Gsa, società di Udine che gestiva il servizio all’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, non sono responsabili della morte della 19enne Elena Casetto, deceduta il 13 agosto 2019 nel reparto di Psichiatria, nel rogo della sua stanza.

Il giudice Laura Garufi ha assolto entrambi dall’accusa di omicidio colposo in cooperazione tra loro e incendio colposo, con la formula “perché il fatto non sussiste”, ed ha rinviato gli atti alla procura per valutare se procedere nei confronti del “datore di lavoro”, ovvero l’Asst Papa Giovanni, e il Responsabile del servizio prevenzione e protezione dell’ospedale.

Determinante è stata la perizia di Francesco De Ferrari, l’esperto nominato dal giudice, che si è trovato d’accordo con la tesi del consulente della difesa, Arnaldo Migliorini: secondo loro Elena sarebbe morta nel giro di pochi secondi dall’innesco dell’incendio, appiccato dalla vittima stessa con un accendino. Il livello di carbossiemoglobina nel sangue era pari al 16%, quindi la giovane avrebbe smesso di respirare, e di conseguenza di inalare i fumi e i vapori bollenti, in un lasso di tempo brevissimo. Il consulente dell’accusa, Matteo Marchesi, aveva invece stabilito che il decesso era avvenuto nel giro di qualche minuto.

Tant’è che, come ha dichiarato il pubblico ministero Letizia Ruggeri nelle sue conclusioni: “Due infermiere e un addetto alla manutenzione che sono intervenuti hanno detto che Elena urlava, chiedeva aiuto e sbatteva le gambe. E in quel momento erano passati diversi minuti da quando si è sprigionato il rogo”.

“Verso le 10 del mattino – ricostruisce l’accusa -, Casetto viene sorpresa da un infermiere con un lenzuolo legato al collo. Lui la libera e chiama i colleghi perché la paziente è molto agitata, grida, insulta, sputa addosso al personale. Interviene anche il medico che le somministra un calmante e dispone la contenzione. Gli infermieri chiudono a chiave la stanza, come da procedura, e tornano alle loro mansioni. Dopo 2 o 3 minuti sentono suonare l’allarme antincendio, accorrono e vendono uscire del fumo nero da sotto la porta della stanza. Aprono la porta, vengono investiti dal fumo e sentono la giovane urlare”.

Nel frattempo sopraggiungono i due imputati, A.B., 32enne di Lissone e E.G., 31enne di Paderno Dugnano, senza i dispositivi di protezione. “Nessuno dei due, nonostante fossero adeguatamente formati, è riuscito a prendere in mano la situazione. Nei primi istanti non hanno fatto nulla di utile. Hanno usato impropriamente due estintori e non si sono accorti che proprio fuori dalla stanza di Elena c’era una manichetta a muro. Chiedono al personale del reparto di aprire le finestre, senza nemmeno sapere che in Psichiatria le finestre sono fisse”. Uno dei due addetti, valutata la situazione, era sceso nel parcheggio a prendere le protezioni per sé e per il collega, come da procedura: “C’è un video dove si vede chiaramente che l’imputato non sa cosa fare: indossa la giacca, il respiratore, poi se li toglie, se li rimette, gli cade il casco”.

Per entrambi gli imputati il pm ha chiesto la condanna a un anno di reclusione con le attenuanti generiche: “Ci sono state tutta una serie di coincidenze che non sono state favorevoli, ma che non giustificano il comportamento dei due addetti: in Psichiatria mancavano gli sprinkler, non c’era l’impianto di aspirazione dei fumi, i dispositivi di protezione erano sul furgoncino, gli estintori non erano a parete, le finestre erano sigillate, i tubi per l’ossigeno medicale sono scoppiati fungendo da accelerante per le fiamme, le lenzuola non erano ignifughe, Elena aveva con sé un accendino. Avevano un obbligo giuridico e contrattuale da rispettare ed hanno tenuto una condotta gravemente imperita, sia prima sia dopo il fatto”.

L’avvocato di parte civile Giuseppe Capato, che assiste il fratello della vittima, ha ribadito: “I due addetti hanno avuto un attacco di panico? Non si sa, ma di certo non hanno fatto nulla. Elena era giovanissime ed ha sofferto terribilmente, la morte tra le fiamme è atroce e dolorosissima”. La richiesta è di un risarcimento di 500mila euro e di una provvisionale di 250mila euro.

Gli avvocati degli imputati, Francesca Privitera e Stefano Buonocore, non hanno ravvisato comportamenti inadeguati da parte dei loro assistiti: “Entrambi hanno seguito le linee guida. Quando sono arrivati in Psichiatria l’incendio era ormai indomabile e probabilmente Elena, viste le conclusioni del consulente e del perito del giudice, era morta ancora prima che a loro arrivasse la telefonata d’allarme”. Le urla della ragazza e il fatto che sbattesse le gambe? Secondo i legali “le urla potevano essere quelle degli altri pazienti che stavano per essere evacuati. Gli spasmi alle gambe quelli di un corpo che sta bruciando”.

“I due addetti hanno fatto di tutto per cercare di salvare la giovane, mettendo anche a repentaglio la loro sicurezza. Il corridoio era pieno di fumo, non potevano raggiungere la manichetta e nemmeno usare gli estintori alla base delle fiamme, dato che era impossibile entrare nella stanza senza protezioni. Secondo le procedure avevano 8 minuti per arrivare sul posto, ce ne hanno messi solo 2”.

Le difese hanno chiesto, e ottenuto, l’assoluzione perché il fatto non sussiste.

 

Elena Casetto
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