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I grandi della storia

I grandi della storia

Henry Ford, un genio dell’industria e degli affari: inventò la catena di montaggio

Ford fu una personalità eminente del XX secolo: fu un grandissimo industriale e un uomo di indubbio genio

Il 7 di aprile del 1947, dopo una vita lunga e, come vedremo, assai attiva, moriva Henry Ford: uno dei padri dell’industria moderna. Limitarsi a considerare Ford un capitano d’industria, tuttavia, sarebbe riduttivo: egli fu uno dei padri dell’automobile, certamente, ma fu anche un inventore di vaglia e, soprattutto un formidabile visionario. Questo fece di lui uno degli uomini più ricchi di tutti i tempi, ma ciò non toglie nulla al suo genio inventivo. Non a caso, il futuro magnate mosse i primi passi come dipendente nell’azienda di un altro straordinario imprenditore ed inventore, Thomas Alva Edison.

Mentre lavorava per Edison, utilizzando i ritagli di tempo, il nostro intraprendente giovanotto costruì, nella sua autorimessa, una copia funzionante dell’automobile Daimler-Benz: il prototipo iniziò a marciare nel 1896 e, da allora, le Ford avrebbero percorso miliardi di chilometri, fino ai nostri giorni. Dopo tre anni di praticantato come Chief Engineer in un’altra azienda automobilistica di Detroit, Henry Ford decise di fare il gran salto e di diventare imprenditore in proprio, introducendo nella sua azienda le idee innovative che aveva, nel frattempo, elaborato. Nacque così la Ford Motor Company.

L’idea era quella di produrre automobili alla portata di quasi tutti: auto robuste, poco costose e affidabili. Ne venne fuori la leggendaria Model T, che fu la prima vettura ad essere prodotta con una catena di montaggio che abbattesse tempi e costi di produzione: si può dire che la Ford MT abbia motorizzato gli Stati Uniti, dato che, in meno di vent’anni, tra il 1908 e il 1927, ne furono prodotti 15 milioni di esemplari. Ford ebbe molte geniali intuizioni e, senza dubbio, un notevole talento per gli affari: questo fece di lui, in un certo senso, la metafora dell’imprenditore americano, capace di coniugare intuito affaristico e capacità progettuale.

Di sicuro, l’idea più innovativa e che avrebbe avuto la maggiore ricaduta sulla storia dell’industria mondiale fu quella della catena di montaggio e questo non solo dal punto di vista della produttività. Naturalmente, lavorare a un nastro trasportatore, che permettesse ad ogni operaio di montare lo stesso pezzo infinite volte, ridusse significativamente i tempi di lavorazione: una Model T veniva costruita in un’ora soltanto, contro le 12 della concorrenza. Tuttavia, questo ingegnoso procedimento produttivo ebbe anche lati negativi e lasciò, anzi, nel sentimento della gente, un’idea di spersonalizzazione e di robotizzazione del lavoratore: basta vedere la celebre sequenza di Charlot, in “Tempi moderni”, inghiottito dagli ingranaggi di una fabbrica, mentre avvita meccanicamente bulloni, per capire ciò che intendo.

Il Fordismo cancellò la figura, tipicamente ottocentesca, dell’operaio signore della propria macchina: esperto e specializzato al punto da ripararla in caso di guasto. Era una figura di operaio-artigiano, difficilmente sostituibile e, quindi, dotata di un potere contrattuale notevole. Invece, per lavorare alla catena di montaggio, non era necessaria alcuna specializzazione, se non l’esercizio nel compiere sempre lo stesso gesto: l’operaio era diventato sostituibile e generico, perdendo, per conseguenza, tanto il suo peso professionale quanto il suo orgoglio di elemento prezioso dell’azienda. Nasceva, in un certo senso, l’uomo-macchina: l’equivalente operaio dell’uomo-cellula generato dal pensiero politico di derivazione positivista. Va da sé che Ford questo non lo poteva immaginare: era un eclettico, ma non fino al punto di prevedere sviluppi sociologici e antropologici.

Faceva automobili, e le faceva bene, se è vero che le Ford invasero il pianeta e che ancora oggi, dopo infiniti cambi di mano, il marchio prospera. Il primo cambio fu sfortunato, per la verità: Edsel Ford, il figlio di Henry, morì di cancro nel 1943. Due anni dopo, a soli 26 anni, prese le redini dell’azienda Henry Ford II, figlio di Edsel, iniziando a mettere in atto una serie di importanti modifiche che videro il nonno ferocemente contrario, ma, ormai, messo in disparte. Insomma, Ford fu una personalità eminente del XX secolo: fu un grandissimo industriale e un uomo di indubbio genio. Ma Ford ebbe anche vistosi difetti: non ultimo il suo deciso antisemitismo, che lo portò ad essere ammirato da Hitler, che lo insignì dell’Ordine dell’Aquila, ovvero della più alta decorazione germanica per uno straniero.

Nella forma, si trattava di un premio per le forniture della Ford tedesca alla Wermacht, ma si sentiva in sottofondo l’eco della sua opera meno lusinghiera, cioè i suoi quattro libri sul giudaismo internazionale: “The international Jew: the world’s foremost problem”. Insomma, dai pistoni e dalle bielle ai Protocolli dei Savi di Sion. Un grande, certo: ma con parecchie zone d’ombra.

marco cimmino

 

* Marco Cimmino è uno storico bergamasco, classe 1960. Specializzato nello studio della guerra moderna, fa parte della Società Italiana di Storia Militare. Ha all’attivo numerosi saggi storici, prevalentemente sulla Grande Guerra e collabora con diverse testate, nazionali e locali. Per Bergamonews ha curato, in precedenza, una storia a puntate della prima guerra mondiale e una storia dell’Unione Europea.

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