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L'iniziativa

Femminicidio Cologno, ritrovo straordinario in piazza contro la violenza di genere

Lunedì 8 aprile alla fontana di via Rocca presidio per dare un ultimo saluto a Joy Omoragbon

Cologno al Serio. Lunedì 8 aprile la Rete bergamasca contro la violenza di genere organizza un ritrovo straordinario a Cologno al Serio a seguito del femminicidio di Joy Omoragbon. L’appuntamento è alle 18.30 alla fontana di via Rocca a Cologno al Serio.

In accordo con le istituzioni locali, viene spostato eccezionalmente il presidio mensile nel paese in cui è accaduto il fatto.

L’appello degli organizzatori a partecipare

Il femminicidio di Joy Omoragbon a Cologno al Serio ci ha scosso profondamente. Quante volte ancora dovremo assistere all’uccisione di una donna che si poteva evitare? Come ‘Rete bergamasca contro la violenza di genere’ esprimiamo tutta la nostra vicinanza agli affetti di Joy, famigliari e amicali, alla comunità in cui viveva e alle istituzioni pubbliche di Cologno, che proprio in questo periodo sono impegnate in una campagna per la lotta alla violenza di genere rivolta alla cittadinanza.

È in accordo con le stesse istituzioni locali che abbiamo deciso di spostare eccezionalmente il nostro presidio mensile del giorno 8 a Cologno al Serio, perché questo femminicidio è un fatto gravissimo a cui tutta la popolazione bergamasca deve rispondere in modo forte. Invitiamo quindi a un ritrovo collettivo lunedì 8 aprile, alle 18,30, presso la fontana di via Rocca a Cologno al Serio: per stare unite e uniti, salutare simbolicamente la nostra concittadina Joy e gridare ancora una volta “mai più”, “basta femminicidi”!!!
Chiediamo a tutte le persone che sono stanche di assistere a questa lenta e inesorabile strage di unirsi a noi, perché non può e non deve più accadere che una donna perda la vita in questo modo. Queste morti si si devono evitare.

Siamo consapevoli di quanta difficoltà vivano i servizi pubblici che dovrebbero prendersi cura delle situazioni in cui viene esercitata violenza, nella totale carenza di fondi e personale. Ed è proprio per questo che testardamente continuiamo a scendere in piazza: per pretendere che i governi si impegnino a investire finalmente in modo serio, destinando risorse ai territori, ai servizi specialistici e sostenendo tutti i centri e le case che accolgono chi subisce violenza.

Bisogna garantire protezione e investire nella prevenzione: ce lo chiedono le convenzioni internazionali. L’Italia nel 2013 ha ratificato la Convenzione di Istanbul, che impegna alla lotta contro la violenza di genere, che è poi entrata in vigore nel 2014: nel 2023, quasi dieci anni dopo, il Grevio cioè “Gruppo di esperti sulla lotta contro la violenza sulle donne e domestica del Consiglio d’Europa” ha prodotto un report in cui afferma che la Convenzione nel nostro paese è scarsamente applicata.

Le persone che subiscono violenza vanno protette, quando denunciano o chiedono supporto ai centri antiviolenza ma anche quando non lo fanno: perché spesso la loro situazione è conosciuta, nel paese o nel quartiere in cui vivono. Bisogna che tutti i servizi pubblici, a partire dalle forze dell’ordine, siano formati al riconoscimento del rischio di escalation della violenza e alla valutazione della pericolosità di un uomo: devono avere capacità e risorse per mettere in sicurezza le potenziali vittime (ed evitare di diventare essi stessi luoghi in cui si rinnova la violenza).

I femminicidi non capitano per caso né sono frutto dei cosiddetti “raptus di follia”, accadono quasi sempre dopo lunghi periodi di violenza, spesso dopo anni. E allora si può e si deve arrivare prima, intervenire e salvare vite. Per farlo occorre anche lavorare sulla prevenzione, promuovendo a tutti i livelli educazione all’affettività e al consenso nelle relazioni: non solo per i giovani ma per tutte le età, affinché i rapporti siano finalmente improntati su rispetto e solidarietà e non più su controllo e sopraffazione. E sostenendo le realtà che accompagnano gli autori di violenza in percorsi di consapevolezza e cambiamento, per cercare di ridurre le possibilità di recidiva, perciò fare in modo che non tornino a esercitare violenza.

È doveroso sapere che anche in bergamasca a ogni nuova notizia di femminicidio sono molte le donne che cadono in preda al terrore pensando “la prossima sono io”.

È doveroso anche ricordare che le donne ammazzate dal proprio compagno sono vittime della violenza di origine patriarcale che avvelena le relazioni affettive, non sono vittime di malattia mentale, povertà o disoccupazione. Le fragilità personali e sociali aggravano la situazione ma il problema alla radice è il carattere violento e oppressivo delle relazioni, e la violenza è trasversale a qualsiasi condizione socio-economica.

È doveroso infine ribadire che le vittime di femminicidio sono tutte uguali, nessuna può essere considerata “di serie B” perché di origine straniera, perché non era madre o in quanto appartenente alla comunità Lgbtqia+.
Solo nel mese di marzo sono state 113 le nuove chiamate arrivate ai centri antiviolenza di Bergamo e provincia, dall’inizio dell’anno sono 354. E dall’1 gennaio in Italia sono 12 i femminicidi accertati (più diversi casi in fase di accertamento), l’ultimo quello che ha portato via Joy Omoragbon.

Per dare voce a chi non ce l’ha più, per dire “non sei sola” a chi subisce violenza nell’isolamento, per dire basta: appuntamento a Cologno lunedì 8 aprile.

Per informazioni: stopfemminicidibg@gmail.com

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