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Lo spettacolo

“Matteotti Medley”, a Treviglio omaggio al deputato socialista rapito e ucciso dai fascisti nel ‘24

In scena martedì 9 aprile al TNT con Maurizio Donadoni

Treviglio. Martedì 9 aprile riprende la stagione teatrale del TNT di Treviglio con lo spettacolo “Matteotti Medley”, un omaggio musicale dedicato a Matteotti e interpretato da Maurizio Donadoni

MATTEOTTI MEDLEY
Documentario teatrale a cura, di e con Maurizio Donadoni
Regia Paolo Bignamini
Musiche Stefano Indino
Scene e costumi studenti del biennio di scenografia dell’Accademia di Brera coordinati da Edoardo Sanchi
Luci Pietro Bailo
Assistente alla regia Giulia Asselta
Produzione Centro di Produzione Teatro de Gli Incamminati in collaborazione con Fond’Azione Dopolavoro

Lo spettacolo

“Matteotti Medley” è un documentario teatrale in ricordo del deputato socialista rapito e ucciso dai
fascisti nel 1924. Cinque capitoli di un viaggio a ritroso nella vicenda storica, politica, umana del
parlamentare socialista, aprendo nel contempo uno squarcio sull’Italia dell’epoca. Fatta di ingenuo
consenso popolare e di scaltriti speculatori d’alto bordo; di bambini che offrivano al duce i loro temi
sgrammaticati e d’alti gerarchi preoccupati solo d’intascare tangenti; di canzonette patriottiche e
manganellate omicide; di corruzione, affari sporchi e insieme di entusiasmi giovanili e sincero amore
per la patria. Sfondo su cui si delinea potente la figura di un uomo dall’aspetto gentile, dal carattere
inflessibile, dagli occhi cerulei, la cui condotta non deviò mai dalla difesa ad oltranza della
democrazia.
Parlando a dei coetanei del tempo, un Giacomo Matteotti poco più che ventenne (si era iscritto -al
partito socialista a tredici anni) aveva detto: “Ogni epoca ha avuto i suoi martiri, le sue vittime, gli
inutili eroi che col loro sacrificio, hanno aperto gli occhi e la strada agli altri”. Vent’anni dopo, il 10
giugno del 1924, in un lunedì di sole cocente, a Roma, sul lungotevere Arnaldo da Brescia, quel
ragazzo veniva rapito e ucciso da un gruppo di “arditi” del fascio milanese, comandati da un certo
Amerigo Dùmini, detto “dodici omicidi”. Era una squadra della cosiddetta “Ceka fascista”, organismo
segreto ma neppure tanto, voluto da Mussolini per mettere a tacere gli oppositori. Oggi una via, un
corso, una piazza Giacomo Matteotti esistono in molte città d’ Italia. E se qualcuno vuole sapere
come ci si arriva rispondiamo con facilità. Se però ci viene chiesto a bruciapelo chi era Giacomo
Matteotti, pochi di noi saprebbero andare oltre un generico: “deputato socialista rapito e ucciso dai
fascisti.” Che si sappia così poco della storia di questo inutile eroe, grazie al cui sacrificio, e a
quello di tanti altri, oggi viviamo in libertà, è un peccato. Il suo rapimento ed assassinio fu uno snodo
fondamentale nell’affermazione del regime totalitario in Italia. Per qualche tempo, in seguito a quel
delitto, il fascismo sembrò sul punto di “sfasciarsi”. L’occasione, com’è noto, fu persa dalle
opposizioni che, ritiratesi dal parlamento, furono sbeffeggiate da Mussolini che potè impunemente
dichiarare di assumersi tutta “la responsabilità politica, morale, storica” di quanto era avvenuto. E via,
a passo di parata, verso la dittatura. Ma anche la vicenda umana di Matteotti, che con quella politica
si intreccia inestricabile, è davvero interessante.
A partire (scorrendone al contrario la biografia) dal rapporto intenso e passionale con la moglie Velia;
alle ore passate a giocare carponi sul pavimento di casa, in via Pisanelli 40, con Matteo, Giancarlo ed
Isabella, i tre amatissimi figli; a quelle passate a spulciare bilanci dello stato nella biblioteca
parlamentare; alle incomprensioni con alcuni compagni di partito a causa del suo status di “socialista
milionario”; all’attività comunque instancabile a favore dei contadini del natio Polesine; agli scontri
dentro e fuori la camera dei deputati con i fascisti; all’attaccamento per i due fratelli morti
prematuramente, Silvio e Matteo, con cui giocava, a Fratta Polesine, nella bottega di mamma
Elisabetta e papà Gerolamo.

Parlando a dei coetanei del tempo, un Giacomo Matteotti poco più che ventenne aveva detto: “Ogni epoca ha avuto i suoi martiri, le sue vittime, gli inutili eroi che col loro sacrificio, hanno aperto gli occhi e la strada agli altri”. Vent’anni dopo, il 10 giugno del 1924, in un martedì di sole quasi estivo, a Roma, sul lungotevere Arnaldo da Brescia, quello stesso “ragazzo” veniva rapito e ucciso da un gruppo di “arditi” del fascio milanese, squadraccia della cosiddetta “Ceka fascista”, organismo voluto da Mussolini per mettere a tacere gli oppositori al fascismo.
Matteotti Medley ripercorre questa storia. Una narrazione d’un solo attore, ma a molteplici voci, che si espande in uno spazio scenico nitido, scarno e rigoroso: luogo dove il passato prende corpo attraverso corpo e voce dell’interprete; dove il racconto documentale si fa testimonianza funambolica tra grande storia e piccole storie. E dove ognuno di noi è chiamato a rispondere, come può o come deve, alla domanda: che valore ha, per noi, oggi, la democrazia?
NOTE DI REGIA E DRAMMATURGIA
Mi sono convinto da tempo che parte del mio lavoro di drammaturgo fosse da dedicare alla ricostruzione e riproposizione teatrale di fatti realmente accaduti, di particolare significato e momento, ma sconosciuti ai più: teatro, come oggi usa (e abusa) dire “civile”. Non già come esibizione di zelanti impegni moraleggianti, o pretesti per “exploit” affabulatori. No. Teatro “civile”,
significa secondo me, mettersi corpo, anima e mente, al servizio degli accadimenti, lasciando che i
fatti raccontino i fatti, così che non vada perduta, insieme alle memorie, la funzione catartica dell’evento teatrale. Documentario teatrale vuol dire allora innanzitutto studio approfondito di documenti nella composizione del testo, restituzione della storia il più possibile oggettiva ed efficace mediante selezione e impiego di testimonianze e materiali audio e video; e interpreti che sappiano vivificarne l’uso nella narrazione che, a differenza dei documentari televisivi, potrà dilatarsi, restringersi, cambiare di sera in sera: racconto dal vivo, per viventi.
Formazione e riqualificazione – individuale e collettiva – con la trasmissione dei saperi e delle memorie (perché non esiste una memoria sola) sono, (chi non lo sa?), tra i fondamentali su cui una società
deve poggiare, se vuole prosperare. Intendendo con questo anche un reale rapporto di scambio tra
generazioni, comunicazione reciproca di tecniche, dall’analogico al digitale e viceversa, per evitare
vicendevoli esclusioni dei (e dai) rispettivi mondi di riferimento. Così che i più giovani sappiano
gestirsi, corpo e voce, in puro analogico, patrimonio dei tempi andati; e i meno giovani sappiano
gestirsi, corpo e voce, in puro digitale, patrimonio dei tempi odierni. Onere che, privilegio dell’anagrafe, ho deciso di assumere in prima persona narrante, coadiuvato, in scena da un ensemble di 4 giovanissimi interpreti, d’età compresa tra i 18 e i 25 anni, di varia estrazione e abilità (dai percussionisti, ai ballerini, ai cantanti, ai parcouristi) con cui confrontarmi creativamente nell’unicum di cui, da sempre e per sempre, consiste e consisterà ogni esperienza teatrale.

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