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L'analisi

“Elezioni in Turchia, sonoro ceffone a Erdogan: vi spiego perché”

L'Ak Parti ha perso malamente nelle cinque più grandi citta del paese, fallendo l'obiettivo di riconquistare elettoralmente İstanbul e per giunta arretrando rispetto ai risultati del 2019

La televisione pubblica Trt ha provato in tutti i modi a depotenziare il significato politico delle elezioni locali di ieri (domenica 31 marzo, ndr) in Turchia. Si è parlato di “fatica” dell’elettorato e di fattori squisitamente amministrativi, con quel tono mellifluo che alla fine rende ridicole tutte le televisioni troppo filogovernative a tutte le latitudini.

La verità è che le elezioni locali sono state un sonoro ceffone per l’Ak Parti di Recep Tayyip Erdoğan, che ha perso malamente nelle cinque più grandi citta del paese, fallendo l’obiettivo di riconquistare elettoralmente İstanbul e per giunta arretrando rispetto ai risultati del 2019.

Il Chp (il Partito repubblicano del popolo, che tenderei a definire come un partito centrista) diventa il primo partito a livello nazionale, con una significativa avanzata nonostante la fine dell’alleanza con lo İyi Parti (letteralmente il “Buon partito”, di area conservatrice moderata) e della desistenza strategica da parte dell’area filocurda.

Quest’ultima, dopo aver terminato il paravento temporaneo rappresentato dal Partito della sinistra verde, si è ricostituita con il nuovo nome di Dem Parti (sigla di Partito per la democrazia e l’uguaglianza tra i popoli), riaffermandosi come al solito nelle province sudorientali del paese.

Sarebbe tuttavia molto sbagliato parlare di uno scivolamento ideologico della Turchia verso “sinistra”: il dato più significativo delle elezioni è infatti la forte crescita dello Yrp (Nuovo partito del benessere), che rappresenta l’ala più intransigente dell’islam politico turco e che ha raccolto moltissimi voti in uscita dall’Ak Parti, arrivando al secondo posto in alcune città del cuore dell’Anatolia e addirittura vincendo nella città di Urfa.

Il significato politico delle elezioni va dunque, a mio avviso, letto come principalmente un voto di protesta nei confronti della crisi economica e della gestione della ricostruzione dopo il terribile terremoto del 6 febbraio 2023.

Questa ipotesi mi sembra sostenuta soprattutto dai risultati nelle aree più colpite dal sisma, e mi pare che lo stesso Recep Tayyip Erdoğan, parlando ieri notte dalla sede centrale del suo partito, abbia mostrato con un insolito tono di autocontenimento che il segnale elettorale è arrivato forte e chiaro.

*Francesco Mazzucotelli, docente all’Università di Pavia

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