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Le motivazioni della sentenza

Ucciso per lite al semaforo: ecco perché i giudici hanno condannato Vittorio Belotti

Il magazziniere che speronò e provocò la morte di Walter Monguzzi dovrà scontare 14 anni: decisive le dichiarazioni dei testimoni oculari

Montello. Cinque testimoni oculari, tutti attendibili e concentrati su ciò che stava accadendo all’incrocio di via Papa Giovanni XXIII a Montello, il 30 ottobre 2022. Erano tutti fermi al semaforo rosso e la loro attenzione è stata catturata da una lite tra un motociclista e un automobilista al volante di una Fiat Panda nera.

Hanno visto con chiarezza quanto stava accadendo: i due che discutono, l’auto che riparte, la moto che affianca la vettura, l’automobilista che sterza una prima volta verso sinistra, il motociclista che tenta di difendersi dall’urto alzando una gamba per tenere distante la Panda, una seconda sterzata e poi una terza, violenta, che fa cadere il centauro: l’uomo rotola due volte sull’asfalto, poi la sua testa viene schiacciata da una Bmw che sopraggiunge dal lato opposto della carreggiata. La moto finisce la sua corsa sul ciglio sinistro della via, il conducente della Panda accelera e si dilegua, il motociclista perde sangue, è incosciente, muore pochi istanti dopo.

È proprio partendo dalle testimonianze di chi quel giorno era presente che è nata l’indagine che ha portato all’arresto e alla condanna a 14 anni di reclusione di Vittorio Belotti, magazziniere di 50 anni, per l’omicidio volontario di Walter Monguzzi, agente di commercio di 55 anni, residente a Osio Sotto.

Le motivazioni della sentenza, pronunciata il 18 dicembre scorso, sottolineano proprio il ruolo cruciale dei testimoni: tutti forniscono la stessa versione, parlano di una “violenta sterzata a sinistra”, intenzionale, da parte del conducente dell’auto. Tant’è che uno di loro, in sella ad una moto insieme alla moglie, vista la scena insegue Belotti, fotografa il numero di targa e torna sul posto per fornirlo alle forze dell’ordine intervenute.

La ricostruzione di chi ha assistito all’incidente trova riscontro con i rilevi del sinistro, con la perizia dell’esperto nominato dal giudice, con la traiettoria della motocicletta.

“Il quadro probatorio è chiaro, preciso, concordante, connotato da coerenza interna, privo di inverosimiglianza e non smentito dalle prove”, scrivono i giudici. Inverosimile, invece, appare loro la versione resa da Belotti in aula, “in contrasto con le risultanze istruttorie e inidonea a ingenerare il ragionevole dubbio”.

Secondo l’imputato, infatti, Monguzzi lo avrebbe provocato avvicinandosi al semaforo e iniziando a insultarlo, anche se lui non aveva capito la ragione. Aveva dichiarato di essersi perfino scusato ma, scattato il verde, il motociclista lo aveva affiancato e gli aveva dato delle pedate sull’auto. Al terzo calcio il centauro aveva perso l’equilibrio “io ero forse troppo vicino e c’è stato un contatto, poi io sono andato e con la coda dell’occhio ho visto che cadeva. Ho avuto paura, mi sono difeso”. Ma la Corte d’Assise non ha accolto la legittima difesa.

Il tribunale ha rilevato il nesso causale: la morte di Monguzzi fu causata dalla violenta sterzata, senza la quale il motociclista non sarebbe stato schiacciato dall’altra vettura.

E il dolo eventuale: la strada era trafficata, Belotti aveva assunto cocaina e, soprattutto, non si fermò a soccorrere Monguzzi. “Se l’autore del fatto fugge è sintomo di dolo – scrivono i giudici – mentre se si ferma e soccorre è indice che è accaduto qualcosa che lui non si è rappresentato e non voleva”. Infine, Belotti non ha allertato i soccorsi nemmeno quando si trovava in una posizione di sicurezza. E non ha mai mostrato pentimento né compassione nei confronti della vittima.

Le circostanze attenuanti generiche sono state riconosciute prevalenti rispetto all’aggravante dei futili motivi in quanto Belotti è incensurato, la sua condotta è stata occasionale, ha affrontato un percorso di disintossicazione, ha accettato di farsi prelevare un quinto dello stipendio per risarcire le parti civili e ha acconsentito all’acquisizione da parte della Corte di numerosi atti d’indagine.

 

martina monguzzi
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