• Abbonati
L'intervista

Fine vita e figli delle famiglie arcobaleno: “Il problema è l’inerzia del Parlamento”

La professoressa Anna Lorenzetti, associata di Diritto costituzionale dell'Università degli Studi di Bergamo: “La Corte Costituzionale ha lanciato un nuovo appello al Legislatore affinché legiferi su questi temi”

Bergamo. La Corte Costituzionale ha lanciato un nuovo appello al Parlamento affinché legiferi sui temi del fine vita e del riconoscimento dei figli delle famiglie arcobaleno. Il presidente della Corte, Augusto Barbera, ha rinnovato l’invito affinché il legislatore intervenga per normare queste materie che al momento in Italia sono segnate da un vuoto legislativo.

Per capire meglio il significato di questa esortazione, abbiamo intervistato la professoressa Anna Lorenzetti, associata di Diritto costituzionale dell’Università degli Studi di Bergamo.

Come mai la Corte Costituzionale ha invitato il Parlamento a legiferare sul fine vita e sul riconoscimento dei figli delle famiglie arcobaleno?

Questa modalità d’azione rappresenta una forma di grande rispetto per il Parlamento, laddove la Corte Costituzionale ritenga di non poter intervenire perché facendolo eroderebbe le prerogative parlamentari. Spesso può essere difficile per chi non abbia competenze giuridiche comprendere la reale importanza di queste affermazioni, ma è importante riconoscerne il valore nei termini di rispetto per il legislatore e per il suo ruolo. La funzione legislativa spetta tipicamente al Parlamento ma – non di rado – per la sua inerzia, si è reso necessario che si pronunciasse la Corte Costituzionale.

Potrebbe fare alcuni esempi?

Possiamo pensare alla pronuncia sull’attribuzione del cognome materno: nel 2006 la Corte Costituzionale ha evidenziato che la normativa poneva problemi di conformità alla Costituzione ed era quindi necessario un intervento del Parlamento. Affermò come “l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”. Ma ciononostante non intervenne poiché molte erano le opzioni e le possibilità di regolazione e soltanto al Parlamento spettava la scelta in merito, scelta giunta – solo in parte, peraltro – molti anni dopo. Un altro esempio risale al 2014 e riguarda le unioni civili: la Corte aveva ribadito la necessità di una regolamentazione da parte del Parlamento, poiché a fronte delle tante possibili scelte fra i diversi modelli di regolazione, non avrebbe potuto essere lei a intervenire. Dunque, nella storia costituzionale, sono stati molti gli appelli della Corte al Parlamento affinché quest’ultimo legiferasse su determinate materie spesso non raccolti. Nella maggior parte dei casi si tratta di temi di natura etica o riguardanti vicende su cui è difficile trovare un ampio consenso politico e per ciò considerati divisivi.

E come nascono questi appelli?

Nascono da casi su cui la Corte è stata chiamata a decidere ma su cui ricorda come il compito di legiferare spetti al Parlamento. Il principio della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario, ndr) è fondamentale e in Italia la Corte Costituzionale non è un organo politico cui è rimesso il potere legislativo. I suoi appelli scaturiscono dunque dal fatto che il legislatore non giunge all’approvazione di leggi per regolare determinate materie e lascia ai giudici il dovere di intervenire per decidere i casi che nella quotidianità bussano alle porte dei Tribunali, anche a prescindere dall’esistenza di una legge.

È il segnale di una politica che non è in grado di assumere decisioni di ampio respiro perché è concentrata sul consenso immediato?

Non sarei così tranchant, ma da anni si parla della crisi del Parlamento, che risulta svuotato delle sue prerogative, dal suo essere lo spazio – fisico e simbolico – del confronto, volendo anche dello scontro, fra le forze di maggioranza e di minoranza. Oggi sempre più assistiamo invece a un dibattito politico, spesso condotto fuori dall’Aula, con un Parlamento che si ritrova a dover ratificare le decisioni del governo. Non è più, di fatto, la sede principale del confronto politico per giungere a decisioni condivise, come avveniva in passato e come era nell’idea delle nostre madri e dei nostri padri costituenti. Pensiamo, per esempio, agli anni Settanta, quando sono state dibattute e approvate la Legge Basaglia, la legge sul divorzio e quella sull’aborto. Negli ultimi decenni si ricorre in modo più massiccio ad altre modalità d’intervento normativo, come i decreti legge che presupporrebbero però casi di necessità e urgenza, e i decreti legislativi, che vengono adottati dall’esecutivo su delega del Parlamento. Le dichiarazioni del presidente della Corte Costituzionale, Augusto Barbera si inseriscono in questa cornice.

Iniziamo dal fine vita. Perché è necessario legiferare su questo tema?

Nella relazione annuale della Corte Costituzionale viene espressamente auspicato che il legislatore intervenga per dare seguito alla sentenza n. 242 del 2019 (il cosiddetto caso Cappato). È stata una vicenda drammatica dal punto di vista umano e una questione problematica a livello costituzionale. La Corte ha dovuto esprimersi dopo che Marco Cappato (attivista dell’associazione Luca Coscioni ed esponente del Partito Radicale, ndr) si è autodenunciato alle forze dell’ordine per aver accompagnato in Svizzera una donna veneta che in Italia non poteva accedere al suicidio assistito. Rischiava una condanna a 12 anni di carcere per averla aiutata a morire e ciò ha portato i giudici a interpellare la Corte circa la costituzionalità di un reato che punisce colui che aiuti una persona già determinata nel suo proposito suicidario ma nell’impossibilità di procedere in autonomia. A fronte dell’inerzia del Parlamento, la Consulta non si è limitata ad affermare che è incostituzionale punire l’aiuto al suicidio: considerando il vuoto normativo in materia, con una decisione complessa ha stabilito delle regole per cui l’aiuto al suicidio non è punibile. Ha specificato condizioni rigidissime affinché si configuri questa situazione, ossia la volontà della persona deve essersi formata liberamente e autonomamente, il soggetto deve essere tenuto in vita con trattamenti di sostegno vitale, avere una patologia irreversibile e deve vivere uno stato di sofferenza psichica intollerabile. Inoltre, la gestione deve essere all’interno di una struttura pubblica e non a casa o in altri luoghi. Una regolazione dunque, più che una pronuncia. Non avrebbe potuto fare di più, altrimenti avrebbe eroso i compiti del Parlamento, ma neppure di meno, perché avrebbe eluso la sua funzione: la Corte infatti non può non rispondere al giudice che la interroga per sciogliere il dubbio di costituzionalità. E nel caso specifico Marco Cappato, a processo, rischiava di andare in prigione.

 

anna lorenzetti unibg

 

Per quanto riguarda i figli delle famiglie arcobaleno, invece, com’è la situazione?

La Corte Costituzionale ha invitato il Parlamento a legiferare per regolamentare il loro riconoscimento perché al momento c’è un vuoto normativo. Il quadro è complesso perché bisogna tenere conto che questa materia include situazioni giuridiche molto diverse fra loro. Ci sono sia i figli di due donne sia i figli di due uomini, tipicamente nati da progetti di genitorialità intenzionale portati avanti assieme dai due partner.

Ci spieghi

Secondo le leggi vigenti, i bambini che nascono in Italia all’interno di una coppia formata da due donne – legalmente – sono considerati figli della donna da cui vengono partoriti. I figli di coppie composte da due uomini, invece, spesso nascono all’estero poiché la maternità surrogata in Italia è vietata ed è considerata reato. Il divieto c’è anche per le coppie formate da due donne, ma in questo caso è possibile ricorrere alla fecondazione eterologa, all’estero, e spesso il bimbo nasce in Italia. Nelle coppie formate da due uomini, quindi, il bambino nasce all’estero, spesso negli Stati Uniti, dove – in molti Stati, come la California – la maternità surrogata può essere effettuata anche da coppie straniere. Veniva svolta anche in Ucraina, ma a causa della guerra ora non è possibile, oppure in India, ma quest’ultima l’ha chiusa alle coppie straniere. Il bambino nasce con la cittadinanza statunitense, perché negli Stati Uniti c’è lo ius soli: il lieto evento viene corredato da un certificato che l’ospedale rilascia a seconda di quanto viene chiesto dai genitori. Quando la coppia fa ritorno in Italia insieme al neonato, tipicamente partono le segnalazioni delle procure per accertare la “vera” paternità.

Come mai?

All’ingresso in aeroporto di un bambino con cittadinanza statunitense figlio di genitori italiani senza che ci sia una madre dichiarata spesso parte la segnalazione per verificare che non si tratti di un caso di maternità surrogata. Il padre, cioè, viene spesso chiamato a motivare la relazione. Inoltre, sui certificati rilasciati dagli ospedali americani spesso sono scritti i nomi di due uomini – ossia dei genitori – e questo è un segnale che si è fatto ricorso a pratiche di maternità surrogata. Altro problema è quando si va a registrare il bambino all’anagrafe del Comune dove si vive.

In che senso?

Tipicamente la paternità è del padre biologico. Molti comuni hanno comunque registrato i nomi di due madri o due padri e, in alcuni casi, la procura li ha impugnati e i giudici hanno confermato la correttezza di cancellare la doppia maternità o la doppia paternità perché non conformi alla verità giuridica (da ultimo, Corte d’Appello di Milano). In questo quadro, i sindaci e le procure decidono in ordine sparso, differente, generando difformità nel trattamento giuridico fra una città e l’altra. Bisogna tenere presente che, a prescindere dalle decisioni individuali, si sta parlando di bambini: alcuni hanno visto arrivare la notifica anche dopo anni. Senza un riconoscimento legale, la madre intenzionale o il padre intenzionale viene di fatto escluso dall’universo giuridico del minore e questo pone molti problemi. Ci sono stati casi in cui la coppia si è separata e il co-genitore non ha versato gli alimenti sostenendo che, in assenza di un legame giuridico riconosciuto, non fosse “suo” figlio. Inoltre, ci sono casi tragici in cui la madre o il padre biologico muore e il bambino si è ritrovato privo del proprio legame genitoriale con l’unico genitore superstite, poiché non riconosciuto legalmente.

Che possibilità hanno i genitori arcobaleno al momento per vedersi riconosciuti?

Possono procedere con l’adozione del figlio del partner, la step-child adoption, ma in questo caso sono genitori adottivi. A livello simbolico è diverso da quello che chiedono le Associazioni, perché non viene riconosciuta l’intenzionalità dell’essere genitori e la genitorialità della coppia.

Per concludere, le sentenze della Corte Costituzionale valgono per il caso specifico o hanno portata generale e fanno precedente?

Dipende dal tipo di sentenza. Se una legge è dichiarata incostituzionale vale per tutti i casi. Possono esserci, però, tipologie di sentenze diverse: vi sono quelle di natura interpretativa, valevoli come possibile interpretazione per altri giudici ma non sempre la loro osservanza è obbligatoria per tutti i giudici.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI