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Al cimitero di bergamo

La giornata in memoria delle vittime del Covid e l’impegno delle istituzioni, Gori: “La politica ha il dovere di rilanciare la sanità pubblica” fotogallery video

Sul palco ricordi, emozioni e spicchi di un passato doloroso, ma moniti per chi è chiamato a governare. Gentiloni: "L'Europa tardò a reagire, Bergamo lasciata sola". Il professor Locatelli: "Ricordare chi ha perso la vita vuol dire onorare l’articolo 32 della Costituzione"

Bergamo. Una tragedia che ha lasciato, nelle coscienze collettive, molto dolore ma altrettante consapevolezze. Tra queste, la caducità della vita e la sua imprevedibilità. In un mondo in cui domina il senso di onnipotenza, a vincere, inaspettatamente, è stata la fragilità dell’uomo e del sistema. Prese d’atto che non possono e non devono appartenere solo al passato, rimanere chiuse nel cassetto della memoria. Al contrario, devono essere leva e risorsa per le azioni dell’oggi e del domani. Moniti rivolti a tutti, certo, ma con una dedica particolare a chi è chiamato a guidare il Paese. Questa, in sintesi, la riflessione che ha accompagnato la cerimonia che si è tenuta nella mattinata di lunedì 18 marzo al Cimitero di Bergamo.

Un momento di raccoglimento quello della Giornata nazionale delle vittime del Covid, a quattro anni dall’inizio della pandemia. Una cerimonia alla quale hanno partecipato, tra le tante autorità, il commissario europeo per l’Economia Paolo Gentiloni, il sindaco Giorgio Gori, il presidente della Provincia Pasquale Gandolfi, il prefetto Giuseppe Forlenza, l’assessore regionale al Welfare Guido Bertolaso e il vescovo Francesco Beschi, il professor Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità, il professor Giuseppe Remuzzi, i parlamentari Antonio Misiani, Andrea Tremaglia, Daisy Pirovano, gli assessori regionali Claudia Terzi e Paolo Franco, i consiglieri regionali Davide Casati e Jacopo Scandella, gli assessori Giacomo Angeloni, Marco Brembilla e Nadia Ghisalberti e i candidati sindaci Elena Carnevali e Andrea Pezzotta, 

Del resto, la storia insegna. O, almeno così, dovrebbe essere. Ecco allora che dal palco allestito all’interno del monumentale luogo del ricordo, la culla del dolore, esattamente là dove si moltiplicavano le bare nella chiesa di Ognissanti, le stesse che, come ha ricordato Gori, “il vescovo benediceva e accarezzava”, ricordo e politica si mescolano. Impossibile il contrario. Perché, riavvolgendo i fili della matassa, quando si arriva al cuore della vicenda, non si può che mescolare i ricordi al dolore e a quel grande senso di inadeguatezza che chiunque ha vissuto sulla pelle, direttamente o indirettamente. Quello, per nella triste straordinarietà della vicenda, dei limiti della sanità pubblica.

Ora, scoperchiato il vaso di pandora, bisogna andare avanti. E dunque, proprio su quel palco, a microfono aperto, dopo aver ascoltato le dolci note dell’inno d’Italia cantato dal coro del Conservatorio, quelle di Gianluigi Trovesi e Marco Remondini, e le toccanti parole di alcuni brani del libro “Carovane. La tempesta del Covid e il futuro di una comunità”  lette dagli autori Claudio Cancelli e don Matteo Cella, ex sindaco ed ex curato di Nembro, è tempo di ascoltarne altre. Che risuonano più forti.

Nel raccontare la forza e la determinazione, pur nello sconforto totale, che la città ha avuto, Gori punta l’attenzione su quanto c’è ancora da fare: “Io credo che si peccherebbe di omissione se si dicesse che tutto è andato bene, negli anni che hanno seguito la tragedia del Covid, e che tutti gli impegni sono stati onorati. Ve n’è almeno uno, importante, che abbiamo in parte disatteso e che merita d’essere rilanciato. Riguarda la sanità e in particolare la sanità pubblica. Nell’uscire dalla pandemia ci dicemmo che non avremmo più consentito che accadesse. L’abbiamo fatto? Non tanto, non abbastanza. Dico “abbiamo”, tutti quanti, perché non voglio che le mie parole siano equivocate. Qui c’è Guido Bertolaso, che sono convinto stia facendo il possibile per migliorare la situazione nella nostra Regione, e così il professor Locatelli, nel suo ruolo di presidente del Consiglio superiore di sanità. Del resto, è dal 2010 che l’incidenza della spesa sanitaria sul Pil è andata riducendosi, con la sola eccezione del periodo del Covid, per finire ben sotto la media dei Paesi Ocse; e diversi governi si sono succeduti. È un fatto che la spesa pro capite della Germania è il doppio di quella italiana. E che aumenta invece la spesa “out of pocket”, ciò che i cittadini pagano di tasca propria per curarsi, che tende però a ampliare le diseguaglianze; e che troppe persone rinunciano a curarsi. Ecco perché l’impegno che dobbiamo tornare a condividere, nel giorno in cui ricordiamo le vittime della pandemia e rendiamo loro omaggio, è quello di rilanciare – tutti insieme, chiunque abbia responsabilità di governo – la sanità pubblica. Conta l’organizzazione, ma contano anche gli investimenti, perché non si possono fare le nozze coi fichi secchi. Oggi e soprattutto domani, sapendo che le dinamiche della demografia, con l’aumento della popolazione anziana, tenderanno a moltiplicare le necessità di cura, non solo in Italia”.

Chi ammette i limiti e il freno a mano tirato di un’Europa che si è girata dall’altra parte, è Paolo Gentiloni, il Commissario europeo per gli affari economici e monetari: “I carri, le tombe, immagino che hanno cambiato la storia. Bergamo ha vissuto nelle prime settimane una certa solitudine, l’Europa ha tardato a reagire nella tragedia. Ha avuto un ruolo in questo cambio di marcia: le immagini del 18 marzo hanno cambiato il verso delle cose. Guardando indietro, molto è dipeso dalla percezione del dolore e della risposta di questa città. Nelle crisi ci sono delle immagini simbolo, e Bergamo lo è stata per la pandemia”.

Parole raccolte dall’attuale assessore al Welfare di Regione Lombardia Guido Bertolaso che ha rimarcato gli sforzi fatti durante il periodo pandemico e gli investimenti che stanno crescendo: ““Il servizio sanitario c’è e migliorerà sempre di più, per assistere nel modo migliore i propri concittadini. Quest’anno avremo 950 milioni di euro in più per continuare a migliorare in ambito sanitario. Oggi registro che i malati di Covid in ospedale, non in rianimazione o terapia intensiva, sono lo 0,4% di tutti i malati ricoverati nei reparti di medicina di qualsiasi ospedale pubblico e privato di questa regione. Ci lasciamo alle spalle, almeno dal punto di vista medico, il dramma e l’esperienza che abbiamo vissuto”. E una frecciata al tema dei medici gettonisti: “Il mestiere di medico è una vocazione. Proprio per preservarne la missione, la Lombardia ha scelto di interrompere, ed è l’unica Regione in Italia ad averlo fatto, la vergognosa abitudine dei cosiddetti gettonisti. Non possono diventare dei mercenari”.

Ma chi, tra tutti, ha lo sguardo più lungo è certamente Franco Locatelli, il professore. Che l’accento lo mette sulla ricerca e sull’importanza di preservare il sistema nazionale come pubblico e quindi democratico, mettendolo in cassaforte per le generazioni future: “Ricordare chi ha perso la vita vuol dire anche onorare l’articolo 32 della Costituzione e, per farlo, bisogna che investiamo sempre più risorse nella sanità. Investire nella ricerca biomedica ha salvato decine di milioni di vite, ha avuto un’importanza enorme. Negare queste evidenze o addirittura opporsi non è certo il modo per onorare le vittime”. Il pensiero del professor Locatelli va poi, inevitabilmente, alle generazioni future: “Non dobbiamo dimenticare la lezione ricevuta in maniera vibrante e dolorosa sulla nostra pelle, lo dobbiamo a chi non c’è più e alle generazioni future. Tra pochi anni celebreremo il cinquantesimo anniversario della nascita del sistema sanitario nazionale, preserviamolo perché è un patrimonio di tutti. Abbiamo avuto tanto in dono e altrettanto dobbiamo lasciare”.

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