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La ricorrenza

Giornata per le vittime del Covid, “Il tempo passa ma il dolore resta”

Il dottor Carlo Saffioti, psichiatra e volontario dell’ospedale da campo della sanità alpina dell’Ana: “Non abbiamo ancora elaborato del tutto quello che è successo”

Il tempo passa, ma il dolore resta. I giorni, i mesi e gli anni scorrono, inevitabilmente le pagine del calendario si devono voltare e vengono gettate via, però le sofferenze che proviamo lasciano un segno pressoché incancellabile nella nostra vita.

Il difficile periodo dell’emergenza Covid, che ha drammaticamente colpito Bergamo nel 2020, è stato contraddistinto da tanta angoscia, amarezza e disperazione, soprattutto per chi ha vissuto la malattia e/o ha perso persone care. In città e provincia purtroppo le morti sono state parecchie: quasi tutte – se non tutte – le famiglie hanno avuto lutti ai quali, nelle fasi più complicate della pandemia, si è aggiunto lo strazio di non poter dare l’ultimo saluto ai propri cari.

Per ricordare e onorare la memoria delle vittime del Coronavirus è stata istituita una giornata a loro dedicata che si celebra con cadenza annuale il 18 marzo. Il relativo testo di legge, approvato all’unanimità il 17 marzo 2021, riporta l’indicazione di momenti commemorativi di diversa natura per non dimenticare quanto accaduto. La data scelta è stata identificata nello stesso giorno del 2020 in cui i mezzi pesanti dell’Esercito Italiano contribuirono alla rimozione delle centinaia di bare depositate al cimitero monumentale di Bergamo. Le immagini della colonna di questi veicoli, che ha fatto il giro del mondo tramite giornali, tv e web, suscitò molta impressione nell’opinione pubblica e passò tragicamente alla storia diventando emblema della ferocia del virus.

Abbiamo chiesto un parere al dottor Carlo Saffioti, psichiatra, attualmente direttore di una comunità di riabilitazione psichiatrica della Fondazione Emilia Bosis a Verdello e volontario dell’ospedale da campo della sanità alpina dell’Ana (Associazione Nazionale Alpini, ndr), che ha vissuto in prima linea quei duri momenti.

Dottor Saffioti, sono trascorsi quattro anni dalla prima devastante ondata della pandemia da Covid-19 ma ognuno di noi ha ancora impresso nella mente e nel cuore quel dramma

Si, è inevitabile che sia così. Il tempo passa ma il dolore resta: riemerge quando il pensiero va a quel periodo, a come lo abbiamo vissuto e a tutti quei lutti giorno dopo giorno, alle pagine dei giornali piene di morti, all’incertezza, alle preoccupazioni e alle paure che si provavano all’insorgere della febbre o di un colpo di tosse. Vedendo tutto questo da lontano sembra una storia che non abbiamo ancora del tutto elaborato. Le polemiche sui vaccini, la facilità con cui si è passati da un clima di solidarietà a uno di sospettosità e di scontro fa pensare che non si sia riusciti a superare quanto accaduto.

Come mai?

È stata un’esperienza inattesa che ha colto tutti decisamente impreparati. Abbiamo dovuto fare i conti con la paura, la provvisorietà e la consapevolezza che si potesse morire da un giorno all’altro. La perdita di persone care senza poter dare loro l’ultimo saluto è stato il dramma nel dramma, un evento particolarmente doloroso per chi ha perso dei familiari durante l’emergenza da Covid-19. Il congedo e tutta la ritualità che compone le cerimonie funebri servono anche ad aiutare a salutare le persone a cui si è voluto bene e a cui si è stati legati, ma in quelle fasi non è stato possibile.

Anche il lockdown e la prolungata applicazione delle restrizioni anti-contagio hanno impattato sulle persone. Che effetti hanno avuto?

Il lockdown e le misure anti-contagio (restrizioni, chiusure, coprifuoco, distanziamento sociale ecc, ndr) hanno avuto molteplici impatti. Sicuramente hanno avuto effetti molto pesanti in tanti giovani e ragazzi, ai quali hanno rovinato i percorsi scolastici e universitari, che costituiscono periodi particolarmente importanti di vita comunitaria per le nuove esperienze di socializzazione che si fanno in quegli anni e sono state ferite. Inoltre hanno portato alla luce e provato crisi intra-familiari, creato smarrimento e un profondo senso di insicurezza generale, in ogni ambito della vita.

 

Saffioti

 

Per concludere, una considerazione personale. Lei è sempre stato in prima linea, anche nei momenti più difficili dell’emergenza Covid

Sono sempre stato operativo. Da volontario dell’ospedale da campo della sanità alpina dell’Ana ho preso parte alla realizzazione dei controlli all’aeroporto di Orio al Serio quando si pensava che il virus non sarebbe arrivato in Italia e poco dopo ci si è resi conto che stava circolando in tutta Europa. Poi ha tenuto banco l’impegno all’ospedale che era stato allestito alla Fiera di Bergamo, con attività di consulenza per i pazienti ricoverati ma anche con gruppi di sostegno per il personale, soprattutto per gli operatori di molte Rsa che hanno vissuto una situazione particolarmente dura.

Ci spieghi

Durante l’emergenza sanitaria sono morti moltissimi anziani e gli operatori delle Rsa da più parti sono stati criminalizzati, quasi incolpati di aver favorito la diffusione del virus facendo morire gli anziani degenti. Sono quelli che più di tutti hanno sofferto la situazione: sono stati additati da un lato perché non permettevano ai familiari di visitare i loro cari e dall’altro hanno perso tanti ospiti nelle residenze con cui avevano coltivato relazioni da molto tempo. Elaborare i lutti non è mai facile, ma in questi casi risulta di certo più complicato e il supporto di professionisti è importante. Sempre da volontario della sanità alpina dell’Ana, infine, ho partecipato alla realizzazione della campagna delle vaccinazioni anti-Covid, prestando servizio all’hub vaccinale di Dalmine.

 

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