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Barbata

Picchia la compagna e la fa abortire con un’iniezione: 28enne condannato a 2 anni e 1 mese

L'uomo è stato ritenuto colpevole dei reati di maltrattamenti e lesioni. Assolto invece dall'accusa di violenza sessuale

Barbata. Condannato a due anni e 1 mese per maltrattamenti e lesioni nei confronti della convivente. Assolto invece dall’accusa di violenza sessuale. Questa la sentenza emessa giovedì 14 marzo nei confronti di L.V., indiano di 28 anni, mai comparso in aula.

Il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 2 anni: “Serve cautela nel giudizio dato che la vittima aveva problemi di alcolismo e turbe psichiche. Il suo racconto però appare genuino, non ci sono recriminazioni economiche, anche perché ha rimesso la querela, ma sussistono lacune percettive e comunicative. I segni delle percosse ci sono e sono stati visti dall’ex marito, dalla madre di lei e dalla polizia giudiziaria intervenuta, che ha trovato la donna in uno stato di prostrazione e sofferenza”.

Agli atti ci sono degli screenshot effettuati dalla madre della ragazza, che è stata sentita come testimone ed ha dichiarato che sua figlia, quando veniva malmenata dal convivente, si chiudeva in bagno e la videochiamava in lacrime. Nelle immagini la giovane ha il viso sanguinante.

Il contesto in cui sono maturati i maltrattamenti è difficile. La donna, 34 anni, era sposata con un connazionale dal quale aveva avuto un figlio. L.V. era andato a vivere con loro perché amico del marito e tra i due era nato un sentimento. Tanto che, alla fine del 2019, la donna aveva lasciato la famiglia a Barbata per trasferirsi con l’imputato in provincia di Pordenone.

Lui però aveva problemi di droga, faceva uso di eroina ed era sempre in cerca di soldi per acquistare lo stupefacente. E per questo motivo spesso picchiava la compagna: “Schiaffi, botte, spinte… sono stati tantissimi brutti momenti… non mi ricordo quanti pugni, quante volte”, scrivono i giudici del Collegio nella motivazione della sentenza, riportando le dichiarazioni della vittima. Che subiva percosse anche nel momento in cui era in stato di gravidanza. La coppia aveva deciso di comune accordo di non tenere il bambino, così lei si era presentata al pronto soccorso per abortire “ma c’era il Covid, c’era tantissima gente e sono stata lì tutto il giorno mentre lui diceva che mi avrebbe aspettata in macchina. Poi la sera mi ha detto di venire via, di andare a casa con lui”, aveva dichiarato durante la sua deposizione.

Aveva poi detto di essere stata accompagnata a casa degli zii di lui dove, contro la sua volontà, le era stata praticata un’iniezione per farle perdere il bambino, in seguito alla quale era stata malissimo: “Nessuno si curava di me, nemmeno la zia, che ha dormito tutta notte e non mi ha dato attenzioni nemmeno l’indomani mattina, quando ho chiesto un po’ di succo di frutta. Non mi dava né da bere né da mangiare. Lui non c’era, era fuori a drogarsi”.

In seguito al “disagio maturato a causa della convivenza”, si legge nelle motivazioni, la donna ha trovato rifugio nell’alcol. Da qui la sentenza di condanna.

L.V., come da richiesta sia del pubblico ministero Fabio Magnolo, sia della difesa, affidata all’avvocato Fabio Marongiu, è stato invece assolto dall’accusa di violenza sessuale. La donna aveva infatti raccontato che, in seguito all’aborto, lei aveva perso sangue per più di un mese e nonostante ciò lui aveva cercato di avere un rapporto sessuale con lei: “Io mi sono opposta, poi alla fine gli ho detto di fare quello che voleva. Ma non ci siamo riusciti”.

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