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Bergamo

Sciopero della fame per l’ex commissario del carcere: “Quell’inchiesta l’ha rovinato”

Daniele Alborghetti era stato arrestato nel 2018 per corruzione e turbativa d'asta, ma poi a processo fu assolto. Il suo avvocato Bonomo: "Vorrebbe incontrare il ministro della Giustizia per ribadire che tutti devono ricordarsi sempre della presunzione d'innocenza"

“Quell’inchiesta, da cui ne è uscito assolto, gli ha rovinato la vita a livello professionale e sociale”. Dopo averci pensato a lungo il funzionario di Polizia Penitenziaria di Bergamo Daniele Alborghetti annuncia attraverso il suo legale, l’avvocato Benedetto Maria Bonomo, di aver iniziato una manifestazione pacifica di sciopero della fame. L’obiettivo è quello di “ottenere un incontro con il ministro della Giustizia Carlo Nordio a cui da privato cittadino ha scritto una lettera, per rimarcare un tema a lui molto sensibile e che tutti, non solo i magistrati ma anche i media e la gente comune, dovrebbero tenere a mente: la presunzione d’innocenza”, spiega Bonomo.

Alborghetti era finito ai domiciliari nel giugno del 2018 al termine dell’indagine sulla gestione del carcere di Bergamo, con le pesanti accuse di corruzione e di turbativa nella gara d’appalto per l’istallazione di distributori automatici di bevande e sigarette nella casa circondariale di Monza (dove era stato inviato dall’amministrazione penitenziaria a svolgere le funzioni di comandante). Con lui altre quattro persone legate alla struttura carceraria di via Gleno, oltre al direttore Antonino Porcino, richiuso in cella e poi condannato in abbreviato a 5 anni e 4 mesi per 14 capi d’imputazione.

In primo grado anche Alborghetti, all’epoca 43enne e con una figlia piccola, era stato ritenuto colpevole per la turbativa d’asta con una condanna a sei mesi, nonostante la richiesta di assoluzione del pm titolare delle indagini, che nel frattempo aveva già archiviato il reato più grave, la corruzione; successivamente venne assolto per non aver commesso il fatto nel processo di Appello a Brescia, come aveva chiesto anche il procuratore generale.

Eppure da quel giorno la sua carriera ha subito ripercussioni. Prima la sospensione dal servizio a tempo indeterminato. Poi, nel luglio scorso, decorsi i termini massimi di interruzione, il ritorno al lavoro nel carcere milanese di Bollate con il ruolo di vice-comandante. Ma a distanza di quasi sei anni gli strascichi di quell’inchiesta si fanno ancora sentire: “Quello che ha creato una sorta di condanna preventiva nei suoi confronti – prosegue l’avvocato – nonostante poi sia stato assolto, sono stati, a nostro avviso, un eccessivo ricorso alle intercettazioni in sede di indagine, e la loro pubblicazione sui giornali, oltre alla spettacolarizzazione dell’arresto, avvenuto davanti agli uomini del suo reparto”.

“I modi utilizzati nei confronti del mio assistito in quei giorni, non potevano essere cancellati dall’assoluzione – aggiunge Bonomo – . Prima era cercato da tutti, ma da quel giorno il suo telefono ha smesso di squillare. Ed è rientrato al lavoro sì, dove il rapporto con gli agenti è sempre ottimo, ma deve comunque ricostruirsi la carriera.

Un’indagine condotta in questo modo può impattare a livello personale, professionale, economico e sociale. Ecco, ci teniamo in particolare a quest’ultimo punto: la società dovrebbe capire che la presunzione d’innocenza è un principio cardine del nostro ordinamento. Perché tutti possiamo rischiare di incorrere in una vicenda giudiziaria simile alla mia”.

Da qui la decisione di partire una settimana fa (martedì 5 marzo) con una manifestazione pacifica di astensione dal cibo: “Non si tratta di un gesto di follia, sia chiaro, ma è una mossa ponderata che Alborghetti ha preso dopo averci pensato a lungo. È stata una scelta sofferta. Assai difficile per una persona che ha sempre creduto, e continua a credere nelle istituzioni e nello Stato, e che ha atteso con pazienza gli esiti del processo, consapevole che presto o tardi sarebbe arrivata l’assoluzione da parte di un giudice. È un modo per attirare l’attenzione e riuscire ad avere un colloquio col ministro e allo stesso tempo per dare un senso a quello che gli è successo, confidando che la sua iniziativa contribuisca, anche in piccola parte, ad evitare che storie simili accadano ad altri”, conclude Bonomo.

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