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Rafa Leao insegna come prendere in mano la vita

Da un “bairro” alla periferia di Lisbona alla metropoli lombarda, con la passione del pallone e della musica. I sacrifici, il successo in campo, i social, i sogni, i ricordi. La gratitudine verso la famiglia, partita dall’Angola per il Portogallo. Ha quasi 6 milioni di “follower”, è una star dei social che ritiene “pericolosi” perché un mondo con “troppo odio e troppe cattiverie e dove si sorride poco”

Forse. È sempre stata una parola molto presente nel linguaggio di tutti. Questo avverbio, simbolo del dubbio, ha però avuto un’impennata notevole con il covid.

Molto del nostro vivere è diventato un “forse”, a partire da noi stessi per allargarsi poi alle relazioni. Che sono dominate dalla diffidenza, alta espressione – sfumiamo un po’ – dell’incertezza con gli altri. Fidarsi o non fidarsi, questo è un nuovo dilemma. Il fatto è che – Hemingway insegna – “ai più importanti bivi della nostra vita non c’è segnaletica”. Sarà poi così? Mah, “forse”. Per fortuna però esiste una moltitudine di persone, anche di nostra conoscenza, che vive di qualche certezza: alcuni passaggi o incroci sono peraltro ineludibili.
Una parola che spesso si accompagna al “forse” è la negatività, che imbottisce regolarmente la cronaca. I bambini che giocano al calcio, magari sotto casa, non fanno notizia: è l’eventuale incidente che la origina. Bisogna ridare voce al bene. Come ha saputo fare in un’esemplare intervista pubblicata dal “Corriere della Sera” il campione milanista Rafa Leao, fresco autore di un libro intitolato semplicemente ma significativamente “Smile” (ed. Piemme), in cui racconta sé stesso. Ma lo fa soprattutto per trasmettere un mondo di valori di cui si avverte una crescente necessità, non circoscrivibile soltanto alle nuove generazioni, diventate più fragili e permeabili dai disvalori, come la visibilità, i social, i “follower”.

“Spingere i ragazzi a credere nei sogni”

Li ha anche Leao questi ambitissimi nuovi termometri di popolarità, quindi successo: restando nel mondo del pallone, si potrebbe parafrasare dicendo che sono tifosi o fans che decidono di seguire un campione, un proprio mito, il quale assurge a “influencer”, tanto più considerato quanto si ingrossano le file dei seguaci.
Leao, bandiera rossonera, si iscrive nella generazione Z dei nativi digitali e si propone – questo va subito sottolineato – di “spingere i ragazzi a credere nei sogni, a non mollare mai”. È uno che può contare su quasi 6 milioni di “follower”, ma nella bella e densa intervista che ha concesso a Carlos Passerini e Venanzio Postiglione parla chiaro: “I social sono pericolosi, non è un mondo positivo. Troppo odio, troppe cattiverie. Le cose che so non le ho imparate lì. Li uso perché devo averli per il mio lavoro, però non mi piacciono. Si sorride poco sui social” poi preme un tasto dolente, di cui c’è percezione diffusa: “la mancanza di educazione, in famiglia e a scuola”.

Detta da un padre, una madre o un docente passa subito per paternalismo; affermata da un calciatore di fama internazionale, chissà che magari dia qualche frutto, prima di riflessione e poi di comportamento, visto che anche certe cose anche le canta (è già al suo secondo album di canzoni). Un passaggio tratto da “Escolhas”, cioè “Scelte”: che così recita: “Devo migliorare ogni giorno / Se fallisci, riavvia / Non ritardare, può essere tardi”, che è una spinta forte per bambini e ragazzi, ma vale per tutti: credere nei sogni e non mollare mai.
Segue la traduzione nel concreto del messaggio su come prendere in mano la propria vita: “Le decisioni non sono sempre facili, ma se sono qui è per le scelte che ho fatto. Anche quelle sbagliate. Essere un privilegiato non significa che la vita è sempre stata facile. E non significa essere incapaci di soffrire”.

Nell’autobiografia raccontata a voce al “Corriere della Sera” c’è un altro passaggio illuminante su come intende l’approccio alla responsabilità questo giovane di 24 anni con la maturità, la saggezza e anche la gratitudine di un navigato adulto: “Ho fatto tanti sacrifici, ma soprattutto li ha fatti la mia famiglia. Mio padre Antonio è partito a 18 anni dall’Angola per lavorare in Portogallo e per darmi un futuro. Mi ha dato molti insegnamenti, prima di tutto l’importanza del lavoro. Ecco perché voglio fare di tutto per restituire ciò che mi hanno dato: ho la possibilità di fare qualcosa con il mio talento. La prima cosa che ho comprato con lo stipendio al Lille è stata una casa per la mia famiglia”.

La lezione del padre, “non ricco ma felice”

Altro che passare ore e ore al giorno sui social a inseguire improbabili chimere avvolte nel fantasmagorico mantello del nuovo normotipo, dei primi che ignorano gli ultimi, dell’apparire più dell’essere, del far soldi facili e tanti invece del decisivo sapere. Leao anche qui piccona molti stereotipi, a partire dal denaro: “Mio padre non era ricco, ma era felice. Mi ha fatto bene andare dal Portogallo alla Francia, avevo 18 anni. Quel salto intermedio mi è servito per maturare. Lille è una città piccola. Non sarebbe stato un bene arrivare subito a Milano. Oggi è diverso, sono più grande e so cosa fare”.
Occorrerebbe far pervenire il messaggio a quelli che interpretano la vita come un reality o che sfoderano un coltello per rapinare lo smartphone a un coetaneo.
C’è poi una tirannia silenziosa, che imperversa oggi ed è quella del risultato prima-di-tutto e ad-ogni-costo, che per un calciatore è portare a casa i tre punti. Non così il bomber rossonero per il quale “il calcio è magia, gioia. Mi fa arrabbiare che la gente pensi solo ai numeri. Se fai una brutta partita, ma poi segni, dicono “wow”. Io non sono così. Perché la gente deve divertirsi e mi devo divertire anch’io. Sono per la bellezza”.

In campo, specie quando segna, Leao alza gli occhi al cielo, uno sguardo a significare il suo rapporto con Dio. Che è “molto stretto. Sono credente, cattolico, prima andavo sempre a Messa la domenica, ora faccio più fatica perché ci sono le partite. La preghiera fa parte della mia vita”.
Un’altra tessera del bel mosaico umano di Rafa è questa: “C’è gente che non ha l’acqua per bere. Quando puoi camminare, hai da mangiare, magari hai qualcuno che ti vuole bene, la vita è “smile”. Io ho tutto, ho anche di più, Dio mi ha dato un dono e io gli sono grato. Il mio lavoro è giocare a pallone, ho coronato il mio sogno di quando ero bambino. Come potrei non sorridere?”.

Rafa Leao - foto dal libro Smile - Piemme Editore
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