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Ballando di architettura

Sangue sui solchi

I The Howling Orchestra pubblicano il loro secondo album che presenteranno venerdì 8 marzo al Druso

Il tutto è maggiore della somma delle sue parti. È questo che mi passa per la testa ascoltando BLOOD, il nuovo album dei The Howling Orchestra. Una band con riferimenti stilistici ben delineati (gli Alice in Chains di Sap e Jar of flies, i Motorpsycho di Blizzard e Phanerothyme, e pure qualcosa di Mark Lanegan), ma comunque in grado di fare un salto in avanti rispetto alle proprie influenze, non solo in termini di originalità, ma anche di contaminazioni. Se infatti il paragone con un certo tipo di rock dinoccolato e malinconico tipico degli anni 90 salta subito all’orecchio, non può negarsi l’abilità di uscire dai canoni del grunge, innestando forti dosi di cantautorato e country-western.

L’album scorre vigoroso, come un lungometraggio che scalda il cuore, nel solco delle migliori melodie di Morricone. E come la musica del Maestro, anche quella del quintetto orobico ha la capacità di restare appiccicata alla pelle dell’ascoltatore. Dieci pezzi per 38 minuti (più che sufficienti, secondo la lezione di Rick Rubin su Reign in Blood degli Slayer) equamente suddivisi tra ritmi in 3/4 e up-tempo. Un disco maturo e suggestivo. Una conferma che il rock non è né morto né risorto, ma semplicemente (r)esiste. Se ne sono accorti i Verdena che, oltre a condividere le medesime radici, li hanno chiamati ad aprire la prima data milanese del loro ultimo tour.

Ne parliamo con Stefano “Steo” Locatelli, membro e portavoce della band.

Quali sono le novità di BLOOD rispetto al primo album Sprituals?
Direi principalmente l’approccio e l’atmosfera generale che, rispetto al primo disco, hanno un piglio maggiormente intenso e meno intimista. Spirituals era composto da brani antecedenti all’esistenza della band e nati con un’anima più squisitamente acustica, da voce e chitarra. BLOOD è invece un lavoro corale già dalla fonte, a partire dalla stesura dei brani e dai loro arrangiamenti. Sono canzoni create in cinque: ciò ha contribuito a dare al disco un respiro più energico, anche se la nostra cifra stilistica rimane la stessa. Con più Meshuggah come ispirazione rispetto al passato! (risate).

Come riuscite a far convivere la presenza di tre chitarre, di cui due acustiche, in studio e dal vivo?
Lavorando molto per sottrazione, sostanzialmente. Il fatto di avere tre chitarre ci permette di avere più soluzioni armoniche a disposizione, con le acustiche che di solito creano il tappeto sonoro di fondo e l’elettrica che lavora di contrappunto o come collante. La sfida principale è sempre quella di usare questo piccolo arsenale solo per quel che serve alla canzone, senza additivi eccessivi o ridondanti. Spesso quindi si semplifica, si asciuga, si cerca di rendere tutto essenziale ed efficace.

Nella vostra band esistono due autori principali. Chi ha l’ultima parola sui pezzi? Vale il principio “the writer is the boss” o si decide sempre assieme?
THO col tempo si è trasformata in una vera e propria band, quindi quello che prima era un lavoro di arrangiamento su pezzi miei o di Matteo è man mano diventato un modus operandi dove sì, uno di noi arriva con un’idea – o meglio una bozza – e poi ci si mette mano tutti. A volte poco, a volte praticamente si riscrive il brano, ma sempre in un’ottica molto democratica, sino a che tutti non si sentono “rappresentati” appieno dalla canzone. Alla lunga tutto questo paga parecchio, perché ognuno ci mette tanto del suo.

Qual è il segreto della buona riuscita di un disco? Avete operato delle scelte in funzione di una maggior fruizione per l’ascoltatore?
Arrivare in studio con le idee molto chiare ed i brani ben definiti nelle mani, nelle voci e nelle teste di tutti i componenti della band: questa è la nostra ricetta. Quando padroneggi i pezzi puoi anche permetterti di metterci mano in itinere senza fare danno o senza perdere il focus della canzone o più generalmente, di quello che vuoi esprimere. Rispetto a BLOOD, non ci sono state scelte a tavolino per aumentare la fruibilità del disco; semplicemente, abbiamo cercato di dare il massimo per far suonare le nostre idee e le nostre emozioni nel miglior modo possibile.

Vi è capitato di scartare dei pezzi perché non si sposavano con l’atmosfera dell’album?
Sì sì è capitato, certo, non perché non fossero nel mood del disco quanto piuttosto perché non si risolvevano nel modo migliore, non si trovava la quadra, diciamo. Magari tra un po’ riemergeranno con una chiave di lettura diversa, o magari resteranno nel cassetto per sempre.

Vi manca il lato hard / distorto delle vostre precedenti esperienze musicali (Monte Nero, Gea, Bug)?
In realtà tutti noi – chi più chi meno – restiamo coinvolti in esperienze musicali abbastanza heavy: Paolo Fusini e Valentino Novelli stanno per iniziare a registrare il loro nuovo album con gli Spread, Benny Brezzolari pratica ancora dell’ottimo thrash coi Big 4 Theory, io e Matteo Perego ogni tanto riesumiamo i Monte Nero. Diciamo che i nostri “pruriti” metal/sludge/prog etc. hanno di che essere soddisfatti, tutto sommato! (risate).

Blood

Singolarmente, siete in attività da trent’anni. Meglio prima o adesso?
Difficile rispondere a questa domanda, le lenti della prospettiva rischiano di essere temprate con il filtro della nostalgia o quello della rivendicazione, e di far vedere la realtà in modo “distorto”. Certamente il mondo della musica pop e rock è cambiato tanto: quello vecchio è stato raso al suolo. Ora ce n’è uno radicalmente diverso e dirti se sia meglio o peggio è molto complesso, ci sono tante sfumature e variabili. Sicuramente quello che in trent’anni non è cambiato è che il valore di un progetto musicale lo capisci – oggi come allora – dai suoi spettacoli live, dai concerti. Nessuna musica liquida, solida, gassosa o fatta dall’IA potrà mai scalzare le emozioni che un concerto (da musicista o spettatore) ti può regalare. Quindi noi continuiamo ad andarci e – quando possiamo – a farli. Sia prima, sia adesso.

Raccontateci com’è stato accompagnare i Verdena nel loro ultimo tour.
Si è trattato di una data, ma è stato sicuramente molto bello ed intenso. Suonare di fronte a migliaia di persone che non ti conoscono è un ottimo banco di prova e motivo di grande soddisfazione. Le reazioni sono state positive, probabilmente perchè – a differenza di altri artisti famosi – la loro fanbase è parecchio aperta e recettiva. Coi Verdena c’è un rapporto di amicizia e rispetto da lungo tempo, e loro sono sempre molto gentili: se c’è un’opportunità per band emergenti la offrono sempre e danno spazi altrimenti non accessibili, non solo con The Howling Orchestra.

Prossimi appuntamenti?
Il prossimo venerdì 8 marzo presenteremo BLOOD dal vivo al Druso di Ranica, con Matteo Trevisan e la sua band a farci da apertura.
Ci si vede lì!

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